Alla fine dell”800  la fotografia non è che poi fosse vista così bene.
Si preferiva la pittura. Al massimo la scultura.

La fotografia era robetta: procedimenti meccanici e chimici non potevano contenere il seme della creatività. Figuriamoci dell’arte. E poi fare una foto era un processo lungo e complicato: minuti di esposizione, macchine che pesavano chili e chili, lastre delicatissime.

Fateci caso: se date un occhio alle fotografie della fine ‘800, magari di qualche piazza celebre, trovate la città deserta. I tempi di esposizione lunghissimi non impressionavano le persone in movimento.
Trovate dei panorami desolati, anche se affascinanti (oggi ce la sogniamo una piazza vuota per una foto).

Quindi si privilegiavano i paesaggi. Ed i ritratti. E poi, chissà come mai, tirava tanto il nudo.

1857 “The great wave” di Gustav Le Gray

Quella in alto è una foto frutto di due esposizioni: una la sera ed una di giorno, utilizzate per una sovrapposizione (o esposizione multipla).

Chi non poteva permettersi un quadro, magari un ritratto di famiglia, allora forse chiamava un fotografo (che per inciso morivano come mosche, visto che giocavano giornalmente con acidi e materiale altamente infiammabile). I soggetti rimanevano in pose plastiche per ore, paralizzati per un unico scatto.

Alcuni di questi fotografi pensarono bene di sviluppare quelle tecniche che potessero rendere una foto quanto più vicina possibile ad un quadro, ad un disegno, alla pittura: esposizioni multiple, soft-focus, materiali  e tecniche le più disparate per ammorbidire le immagini. Certamente non interessavano loro i dettagli: anzi, spesso di faceva di tutto per confonderli.

Il loro obiettivo era elevare il mezzo fotografico ad un livello più alto. Più la foto somigliava ad una pittura, più era apprezzata,
Nacque un vero e proprio movimento: il Pittorialismo.

La foto in basso è un estremo interessante: ben 30 esposizioni multiple (quindi 30 negativi). Un lavoro immane, acquistato poi dalla regina Vittoria. Un lavoro preparatoria gigantesco, atto anche ad eliminare i dettagli, a rendere il tutto più “vago”.

1857 “The Two Ways of Life” di Oscar Gustave Reilander 

Epoca di fotoritocco, quello vero, fatto in fase di scatto ed in camera oscura. Sentite cosa scrivono:

[…]nobilitare la Fotografia e di assicurarle il carattere e le qualità di unagrande Arte combinando insieme il reale e l’ideale e nulla sacrificando dellaVerità pur con tutta la possibile devozione alla Poesia e alla Bellezza[…] ” (the cameron collection, 1864).

Francia, Inghilterra, Russia. Anche l’Italia. Tutti dietro al Pittorialismo. Tutti a fotografare una realtà idealizzata.

Quando però qualcuno si accorse che la fotografia poteva documentare la vita quotidiana, che poteva essere un occhio potente sulle vicende umane e sociali del tempo, lo scenario cambiò.
E nacque un movimento in totale contrapposizione con il Pittorialismo: la “Straight Photography: la fotografia diretta, quella senza filtri, senza effetti speciali, quella che si propone diriprodurre in maniera obiettiva la realtà senza l’ausilio di alcunaimplementazione tecnica.

Quella in cui i dettagli contano.

“Blind”di Paul Strand

Ed i fotografi iniziarono a viaggiare e a scendere per strada. Soprattutto negli Stati Uniti. Cominciarono a fotografare i soggetti che prima erano stati ignorati. Cominciarono a sfruttare il mezzo fotografico per raccontare storie. Storie vere. Oggi si chiamerebbero fotoreporter. All’epoca erano dei pionieri coraggiosi.

I loro lavori non potevano quasi mai essere commissionati. E spesso pagati. Viaggiavano con queste camere ingombranti per poter cogliere una immagine che era tutt’altro che progettata.

Se qualcuno mi dovesse chiedere da dove arriva la “Street Photography”, allora senza dubbio risponderei che arriva da lontano: Arriva dai primi del 900. Arriva dalla “straight Photography” di Alfred  Stieglitz  e Lewis Hine e Paul Strand. E tanti altri grandi da cui solo imparare.

(Date un occhio anche qui.)