La latitudine di posa è la capacità di una pellicola o di un sensore di cogliere tutte le sfumature che vanno dai colori chiari (fino al bianco) ai colori scuri (fino al nero).

Questo concetto è poco intuitivo: il nostro occhio ha una ampia latitudine di posa, e ci permette di cogliere sempre tutte le sfumature.
Ma per la attrezzatura fotografia non è così: questa deve fare i conti con una serie di limitazioni.

Torniamo a fare riferimento alla tavola tonale per l’esposizione tanto cara ad Ansel Adams (qui in alto).
Abbiamo i soliti 11 tasselli, che dividono lo spettro dei grigi (dal nero profondo al bianco) in 11 zone. La zona 0 (zero) è il nero. La zona X è il bianco.
Normalmente tra lo zero ed il X ci sono innumerevoli sfumature, che fanno degradare i grigi in modo dolce. E noi le percepiamo.

Ma questa scala dei toni è molto comoda, perché la differenza tra una zona e l’altra equivale ad uno stop di esposizione: per esempio, per passare dalla zona V alla zona VI devo raddoppiare la luce che arriva al sensore: quindi apro il diaframma di uno stop (per esempio fa F8 a F5,6) oppure raddoppio il tempo di esposizione. Quindi tra una zona e l’altra c’è il doppio (o la metà) della luce da catturare.

San GalganoQuando il nostro occhio osserva una scena, riesce a cogliere tutte le sfumature, di tutti i colori presenti, senza salti e senza mancanze. Il nostro occhio ci descrive il mondo in 11 stop di larghezza (latitudine) e con tutte le sfumature in mezzo!

Ma osservate l’immagine al lato: la foto è in contro-luce.
C’era un bellissimo cielo azzurro (che nella scala dei toni sarebbe caduto in zona VIII) con nuvole voluminose.
Purtroppo però se avessi esposto in modo differente, in modo da far leggere anche il cielo, sarebbe stata penalizzata la splendida facciata della cattedrale, che sarebbe risultata particolarmente scura (sotto-esposta) e si sarebbero persi numerosi dettagli.
Quindi, a causa di una limitazione della camera, ho dovuto fare una scelta: i mattoni o le nuvole in cielo.

Il sensore della mia fotocamera, purtroppo, non ha la stessa latitudine di posa del mio occhio! Ed intuitivamente non riesce a rappresentare tutte le sfumature che vanno dalla zona 0 alla zona X.
Per cui si capisce che maggiore è il contrasto presente nella scena, e maggiore è la distanza in termini di zone tonali tra gli elementi più scuri e gli elementi più chiari, maggiore è il compromesso da raggiungere.

Ecco cosa ha fatto nella pratica il mio sensore: ha tagliato via tutte le zone oltre la VI, appiattendole nel bianco: in gergo si dice che ha bruciato le alte luci (le zone più chiare), facendo sì che non vi si leggessero i dettagli: le nuvole presenti nel cielo sono infatti sparite del tutto.
Di fatto il mio sensore è in grado di descrivere il mondo con soli VI stop (in questo caso dalla zona 0 e la zona VI)!

Quindi se io ho esposto un elemento affinché riflettesse il 18% di luce (e ricadesse in zona V come da esposizione standard: la serie di mattoni, nella foto dell’esempio), allora tutti gli altri elementi in zona IX e X saranno bianchi (troppo lontani), mentre tutti quelli in zona 0 ed I saranno neri (anche questi troppo lontani): la latitudine di posa della mia camera è di VI stop! E tutto ciò che è più distante da 3 stop dalla mia esposizione, sparisce nel nero e nel bianco!

Capite che conoscere la latitudine di posa della propria camera è utile, ma per fortuna gli istogrammi aiutano parecchio: l’istogramma in alto evidenzia un picco in zona X:  è lì che è andato a finire tutto il cielo!
Un picco del genere deve mettere in allerta il fotografo: una parte della scena è stata certamente “bruciata”.
Se con la pellicola non è un grosso problema, nel digitale, le zone “bruciate nel bianco” sono irrimediabilmente perse!

Altro esempio: la foto al lato è una foto in condizioni difficilissime per la camera: il cartellone è molto luminoso, ma parte della piazza degli Uffici a Firenze è in ombra, quasi al buio.

La scelta di esporre sul lastricato davanti a me non è stata casuale: il lastricato aveva una illuminazione media, e sapevo che la mia camera avrebbe bruciato il cartellone, che consideravo un elemento di disturbo (cavolo, siamo nel centro storico di Firenze!). Le due sagome delle ragazze in controluce, poi, sono risultate scure ma leggibili. Per poter leggere il cantante con la chitarra sulla sinistra, avrei dovuto sacrificare le persone sul fondo.
In alternativa, invece che esporre sul lastricato, potevo esporre sul tabellone portandolo in zona V (grigio 18%) e poi aumentare l’esposizione di almeno 4 stop, in modo da farlo traslare in zona IX, cogliendo l’obiettivo di bruciarlo a favore di una maggiore leggibilità delle ombre.

La camera in ogni caso mi ha avvertito, evidenziandomi la zone bruciate (quelle in rosso nell’immagine in alto). Questa è una funzione presente ormai in tutte le macchinette fotografiche che scattano in RAW: le aree rosse (a volte lampeggiano) sono perse, quindi meglio saperlo!
Per completezza ho invece evidenziato io le aree che si sono perse nel buio (in blu). Questo in genere la camera non ve lo fa vedere, perché, fortunatamente, scattando in RAW, quelle aree possono essere recuperate…

Da notare l’istogramma: in questo caso specifico il diagramma presenta due picchi: uno in zona X (seppur più dolce) e l’altro in zona 0 (nella estremità destra del grafico), che contiene quindi il cartellone pubblicitario.

Altra foto:

In questo caso le condizioni di contro-luce sono evidenti: sto fotografando un cielo in pieno giorno!
Ho esposto sulle nuvole: voglio che siano evidenti le loro sfumature, e che ci sia una transizione tra i grigi molto dolce.

Solo l’istogramma (a lato) mi ha confermato la riuscita della foto: tra la zona II e la zona VII ho tutti i grigi. Il grafico pieno mi dice che sono equamente distribuiti,  a garanzia che i passaggi tra un tono e l’altro sono morbidi.

Poi però la macchina non è potuta andare oltre, e mi ha regalato un picco in zona 0 (le chiome degli alberi), saltando praticamente la zona I e la zona IX (le due valli nel diagramma) che sono troppo distanti tra di loro. Il fatto che manchi un vero picco in zona Xsignifica che la parte bruciata è minimale, quasi trascurabile.

E’ importante capire, però, che l’occhio umano è abituato a vedere le immagini fotografiche da oltre un secolo; e da allora fa i conti con rappresentazioni della realtà a latitudine di posa ridotta.
Questo fa sì che certe immagini non disturbino l’occhio, anzi: gestire la ridotta latitudine di posa rappresenta un ulteriore strumento creativo.
Ecco perché spesso le immagini a forti contrasti (o a chiave alta, o a chiave bassa) risultano particolarmente affascinanti.

Qualche indicazione più specifica:

  • le pellicole negative (meglio se B&N) di media sensibilità in genere hanno una latitudine di posa di 6-7 stop.
  • le pellicole positive di media sensibilità in genere hanno una latitudine di posa di 5-6 stop (pochino).
  • Per i sensori valgono alcune semplici regole: se è grande (in termini di dimensioni geometriche) ha maggiore latitudine di posa, ma se a parità di dimensioni ha molti megapixel (alta densità) questa diminuisce. In ogni caso la latitudine di un sensore posa è maggiore della pellicola.
Cosa fare allora per sopperire a questo limite tecnico?
Varie possibilità: l’utilizzo di alcuni filtri, come quelli degradanti. L’elaborazione in post-produzione di file RAW acquisiti con pochi opportuni accorgimenti, fino ad arrivare alla fotografia HDR, dove la latitudine di posa è virtualmente infinita.
Ma questi sono altri post…!