In questo blog abbiamo già parlato di apertura del diaframma e tempi di esposizione (ovvero velocità dell’otturatore).
Per completare il triangolo della esposizione è necessario parlare di ISO, che, in soldoni, rappresenta la sensibilità alla luce della pellicola o del sensore.

Maggiore è l’ISO (che normalmente va da 50 a 6400 e anche più), maggiore è la sensibilità della pellicola o del sensore.
Di conseguenza, a parità di luce, il tempo di posa può essere minore (tempi corti) oppure il diaframma può essere più chiuso (profondità di campo più ampia).

Intuitivamente si sa che le foto migliori si fanno ad ISO più bassi. Corretto.

Allora quando utilizzare gli ISO alti? 

Ovviamente quando c’è scarsa luce, ma anche quando ci sono soggetti in rapido movimento che esigono tempi rapidi oppure quando si usano teleobiettivi, che esigono diaframmi chiusi per avere una adeguata profondità di campo.

A titolo esemplificativo, se partiamo dall’idea di scattare con tempi tra 1/125 ed 1/250 di secondo (ottimi a mano libera)  ed un diaframma di media apertura (diciamo tra F9 e F11), allora possiamo provare a fare una classificazione degli ISO un po’ più semplice.
Gli ISO “normali” vanno da 100 ISO a 400 ISO. Generalmente si parte con un 100 ISO, da utilizzare in una giornata soleggiata. Io consiglio però di cominciare con 200 ISO, più flessibile. 
In giornate nuvolose la 400 ISO può fare comodo. 
Per sessioni in interni forse sarebbe meglio una 800 ISO. Ma qui i primi degradi dell’immagine si fanno vedere.
Tra gli 800 e i 3200 ISO si parla di “alta sensibilità“. Nel digitale si arriva a 6400 e più. Anche a 106.000 ISO!.
Si trovano anche i 25 ISO ed i 50 ISO (si parla di “scarsa sensibilità“) da utilizzare magari in studio o con il flash quando si vuole la massima nitidezza possibile.

Cominciamo con una distinzione: anche se oggi si parla sempre di ISO come unità di misura, è importante differenziare gli ISO relativi ad un film (pellicola) da quelli relativi ad un sensore digitale: spesso si ignorano i loro differenti meccanismi specifici.

Partiamo dalla pellicola: 
è costituita da granelli fotosensibili (di norma nitrato di argento): più sono grossi, più la pellicola è sensibile alla luce.

Il problema è che più è alto l’ISO più la struttura granulare del film diventa visibile.
Di conseguenza le pellicole meno sensibili sono in grado di produrre immagini molto più nitide e più contrastate di quanto non si faccia con pellicole molto sensibili (“più veloci”).
Per altro, in caso di ingrandimenti, la grana della pellicola viene fuori comunque, anche ad ISO bassi: e la particolare matrice irregolare dei film, quando evidente, può disturbare l’occhio dell’osservatore.

A volte però la grana tipica della pellicola è desiderata: le immagini in bianco e nero degli anni ’30 o’ 40 hanno una grana tipica delle pellicole dell’epoca, che conserva un fascino tutto particolare. Gli amanti della fotografia dell’epoca, come me, spesso montano pellicole per il bianco nero ad alta sensibilità anche in condizioni di luce favorevole.

La regola d’oro, in questo caso, è sperimentare: mettetevi in testa che per ogni vostra macchina fotografica, sarà necessario sacrificare diversi rullini di marche differenti e sensibilità differenti, prima di trovare il risultato desiderato.
Prendete confidenza con le pellicole ed imparate a conoscere il loro comportamento nelle varie situazioni.


Anche perché, una volta montato un film, questo va consumato tutto: se nel digitale ogni immagine può essere catturata ad ISO diversi, con l’analogico la scelta di una pellicola condiziona almeno qualche decina di scatti consecutivi (fino all’esaurimento, appunto, della pellicola).

Oggi le camere analogiche costano pochissimo, ed il mercato dell’usato offre ampia scelta: non è raro vedere in giro fotografi con diverse camere appese al collo, ognuna con una pellicola differente pronta per la giusta occasione.

I sensori digitali:
la vera differenza tra una camera analogica ed una digitale sta proprio in relazione alla grana ed al disturbo delle immagini prodotte.

Il sensore è di fatto un convertitore analogico/digitale: trasforma la luce in segnali elettrici. Di sensori ce ne sono vari tipi (CMOS, CCD, etc), ed ognuno ha le sue caratteristiche, ma semplificando per ogni “puntino” della nostra foto (pixel), entrano in azione tre fotodiodi, ognuno dei quali è sensibile ad un colore primario (rosso, verde o blu). La fusione di queste informazioni, genererà la sfumatura di colore attesa per quel pixel (recentemente si trovano anche sensori sensibili al giallo).

La posizione e la grandezza di questi pixel, determina la qualità generale del sensore.

E’ interessante un brevetto che ripropone in digitale il comportamento della pellicola: invece che affiancare  i pixel blu rosso e verde, li sovrappone, sfruttando la diversa lunghezza d’onda della luce (analogamente a quanto fa un film): questa soluzione permette di ottenere sensori più piccoli ed in generale più precisi. Le camere SIGMA, ad esempio, montano questo sensore, chiamato FOVEON.

Da qui

Ogni sensore comunque ha una sensibilità “nativa” normalmente equivalente a valori di ISO tra 50 e 200 ISO (basta dare un occhio al manuale dell’apparecchio): questo significa che in quella configurazione il sensore lavora senza nessuna amplificazione, né del segnale analogico né del segnale elettrico, e si comporta come una “normale” pellicola da 50 o 200 ISO senza alterazioni di sorta.

Questa sensibilità, quando si può, è quella da preferire sempre: garantisce immagini più nitide e meno disturbate: infatti ad alti ISO, i ricevitori del verde rosso e blu (che sono in genere affiancati) sono soggetti ad una amplificazione elettronica dei segnali elettrici prima di passare al convertitore: di conseguenza vengono anche amplificate quelle componenti di disturbo (rumore di fondo) che sono casuali nel tempo e nello spazio. Per altro i ricevitori vicini interferiscono tra di loro, alterando ancora di più l’immagine finale.

Da qui

Il risultato è una distesa disordinata di punti di colore primario (rosso, verde e blu) su tutta la foto, particolarmente visibili nelle aree scure. Questi puntini, in fase di stampa, vengono generalmente enfatizzati (sono primari!) per cui il risultato finale è una immagine disturbata e poco leggibile.
In bianco e nero la resa già migliora di un poco.

Altro fattore tipico dei sensori è quello legato al disturbo per fattore termico: se una pellicola può essere tenuta esposta anche tutta una notte (pensate ad una foto di stelle che si muovono nel firmamento) le lunghe pose su un sensore digitale producono risultati drammatici in termini di nitidezza (non a caso i sensori per fotografia astronomia hanno dei filtri elettronici diversi e specifici): più il sensore si scalda peggio è.

Scordatevi anche immagini tipo “open flash” o “light painting” di altissima qualità (qui serve la posa “B” per tempi molto lunghi), anche se esistono diversi trick per ridurre il rumore generato dalle lunghe esposizioni.

Un esempio:
In alto una comparativa della qualità dell’immagine di una Nikon D300, una reflex digitale di fascia medio-alta. A sinistra una immagine scattata a 100 ISO, a destra la stessa immagine scattata a 6400 ISO.
Interessante questo post, da cui arrivano le immagini. Ma anche questo. Oppure questo.

Qualche buona notizia: se scattate con una digitale una immagine nitida a basse sensibilità di ISO (quella naturale della camera è l’ideale), con tempi non più lunghi di 1/60 di secondo, e fate un ingrandimento, la grana non verrà mai fuori (a differenza della pellicola): potete ingrandire quanto vi pare, ma l’immagine rimarrà sempre pulita (certo, appariranno i quadrettini tipici della matrice dei pixel del digitale, per altro interpolabili, ma a differenza della pellicola, dove il supporto ha una granulosità naturale ed irregolare, i risultati saranno migliori; per altro la “regolarità” della matrice non disturberà eccessivamente l’occhio).

Recentemente i sensori delle macchine professionali hanno superato la qualità delle normali pellicole, e possono essere spinti senza rumore anche oltre i 3200 ISO e in alcuni casi anche oltre i 6400 ISO: bisogna spendere tanti soldi, però. Non pensate che una compatta, con il suo sensore di piccole dimensioni, seppur di ultimo grido, possa fare miracoli. Men che meno il vostro cellulare alla moda.
Quindi, se usate il digitale non di fascia pro, rassegnatevi a convivere con il rumore.

Ma soprattutto il vantaggio di selezionare l’ISO per ogni singola immagine è inarrivabile: se potete diffidate dell’impostazione automatica dell’ISO. Meglio fissarlo sempre manualmente: per questo assicuratevi che la vostra camera abbia dei comandi rapidi e a portata di mano, con un pulsante comodo dedicato al cambio dell’ISO.

A questo punto bisognerebbe parlare di gamma dinamica e latitudine di posa, ma questa è un’altra storia.