Visto che questo blog è anche un diario ed un blocco per gli appunti, mi tocca accennare all’ultimo libro che ho letto.

Trattasi di “Le figlie del libro perduto” di Katherine Howe.
E’ uno di quei libri con la fascetta, che ormai, per pigrizia, sta diventando tristemente un criterio di scelta.

Non credo alle coincidenze: ma ho finito di leggere questo libro (comprato quasi un anno fa) proprio in zona Halloween: e parla di streghe.

Circa i processi di Salem per stregoneria (siamo nel 1692) si trova ormai di tutto. E quindi uno pensa di sapere già quello che c’è da sapere. Per altro nemmeno gli sfiora il dubbio che le sue conoscenze siano esclusivamente letterarie, o cinematografiche, comunque di finzione.

Ed in effetti ho comprato il libro senza grosse aspettative. Ma con sufficiente curiosità.
Di seguito la trama a modo mio.
Se credete non sia il caso, saltatela.
Tanto poi lo spoiler ve lo cuccate anche dopo.

Estate 1991. Connie, figlia di una mamma New Age alquanto singolare, viene catapultata fuori dal campus di Harvard per occuparsi della casa della nonna, ormai morta. 

Lì trova indizi circa una certa Deliverance Dane, una donna legata ai processi di Salem, ma anche alla sua famiglia.

Comincia la ricerca, che potrebbe rivelarsi utile per la sua tesi di dottorato.

Connie è incoraggiata dal suo professore e suo mentore, fino a che non si imbatte in un fantomatico libro passato da madre in figlia per generazioni. 

Questo altera tutti gli equilibri in gioco. 

Insieme al fatto che le succedono cose strane: Connie fa risuscitare una pianta di pomodoro semplicemente leggendo una ricetta della nonna rimasta sullo scaffale della cucina.

Nel frattempo si innamora di Sam, che però presto si ammala gravemente, in modo inspiegabile.

Tutte le sue certezze vacillano: Connie, quel grimorio, o Libro delle Ombre, è costretta davvero a trovarlo, per scoprire che è l’unico modo che ha per salvare il suo uomo; attraverso la stregoneria (anche la madre si rivelerà una strega, ovviamente diretta discendente di Deliverance).

Fino a scoprire che l’amato professore viene identificato da suo un incantesimo come la causa della malattia di Sam, sfruttato come incentivo per spingere Connie e trovare quel libro, utile a lui per arrivare alla pietra filosofale (addirittura).

Poi c’è il lieto fine, con la malattia che passa da Sam al professore, ed i presupposti per un seguito. 

Questo in soldoni, pochi e sporchi.

Il problema del libro è che è piuttosto scontato. La trama è semplice.
A circa metà si capisce già come va a finire.
Ed il colpo di scena finale arriva troppo tardi.

Di indizi che spianano la strada all’intuizione se ne trovano tanti e subito: la madre che sembra prevedere il futuro, che sembra conoscere dettagli che dovrebbero essere per lei segreti.
Il cane di Connie che è identico a quello della figlia di Deliverance.
I nomi di tutte le donne, madri e figlie, che seguono uno schema preciso.
E così via.
E’ un percorso di briciole di pane che anticipa la fine del libro di almeno 150 pagine.

E poi rimangono alcune questioni insolute, che avrebbero meritato un approfondimento: passi il rapporto di Connie con Sam, che mi sembra appena abbozzato: quasi uno si stupisce che la protagonista possa mettere in gioco la sua vita per un tizio che sembra più una cotta estiva.

Ma soprattutto due cose: se a me, di punto in bianco, mi partissero dalle mani scariche elettriche blu, capaci di far sbocciare un fiore, un po’ me ne preoccuperei: e non credo che il giorno dopo comincerei a pianificare un sortilegio per salvare il mio mondo.
Insomma, il percorso di accettazione dei poteri da strega, in una donna che ha vissuto in un mondo completamente antitetico, scettica fino al midollo, non si può sbrigare in due effetti speciali e 20 pagine sparse qui e lì.

Per non parlare del rapporto con la madre: se io scoprissi che la mia è una strega, potente per altro, non mi limiterei a sorriderle compiaciuto, dimenticando anni di separazioni e conflitti: questo rapporto è solo sfiorato, e secondo me poteva essere centrale nel libro.
In fondo Grace, la madre di Connie, sembrava sapere tutto del grimorio, ed è una delle donne nella scala genealogica di Deliverance: molte di loro sono state presentate, dal 1690 in poi, analizzate con cura.
Ma lei, che è viva e può interagire, è solo una comparsa.

Quindi, come libro fantasy è scarsino.
Come thriller pure.

Ma come libro storico?

Alla fine si scopre che la maggior parte delle cose descritte del 1692 sono tutte documentate.
I personaggi, seppur “arrotondati”, sono realmente esistiti: giudici, giurie, accusatori, imputati.
Compresi i loro nomi.
Compresa Deliverance.
Si scopre anche che tra gli antenati dell’autrice, le presunte streghe ci sono state davvero.
Si scopre che l’autrice non ha lasciato niente al caso, e che il romanzo può vantare il rigore di una ricerca condotta da una brillante laureata in Storia ad Harvard quale lei è.

A questo punto il libro prende un sapore diverso: i processi raccontati, le testimonianze, i rimedi da stregoneria, sono verificabili in documenti originali.
La parte di invenzione si limita alla questione (a questo punto forse marginale) che magari, per una volta, gli abitanti di Salem potessero avere ragione: e se le streghe fossero davvero esistite? “Streghe vere, vita vera“, dice l’autrice.

Perché le streghe, all’epoca, in qualche modo erano davvero esistite: personaggi ambigui, al confine tra la disciplina medica, allora ancora abbozzata, e la stregoneria legata alla divinazione, agli incantesimi, ai preparati alchemici, alla superstizione, alla buona fede e all’ignoranza, ma anche alla furbizia di chi si arrangiava per vivere (su 144 imputati, quasi tutte donne, ben 54 confessarono di essere streghe! E 20 furono condannate a morte! Il tutto tra aprile e novembre).
Niente fantasy. Ma tutto molto reale.
L’isteria ed il panico si vedono, ma dal punto di vista delle accusate.

Purtroppo però tutto ciò si scopre nel Poscritto, a libro finito.

Allora, se durante la lettura, che scorre in modo decisamente cinematografico, tu speri che la protagonista faccia esplodere i suoi poteri in una estasi di effetti speciali, alla fine ti rendi conto che il tuo vero interesse si è spostato verso le donne che furono perseguitate, verso le famiglie che per tutto il diciottesimo secolo subirono pesanti conseguenze economiche e sociali.

E ti stupisce il fatto che le tecniche di divinazione e gli incantesimi, che ti sembrano assurdi e poco credibili pur nella loro finzione, alla fine erano realmente utilizzati nei villaggi di Salem (e zone limitrofe).
Ti stupisce pure il  fatto che le vittime delle presunte streghe, pure esse giovani ragazze, stessero forse sfruttando un momento di potere e di attenzione acquisiti, altrimenti difficili da ottenere per una donna.
Ti stupisce pure il fatto che una intera comunità fosse sprofondata nella paura e nell’odio, convinta di fare la cosa giusta, condizionata dalle accuse lanciate senza fondamento da ragazze malate.

Non è un libro storico.
Ma ci assomiglia parecchio.
E se oggi so qualcosa di molto vicino al vero circa i processi di Salem, e circa la vita delle donne cunning folk dell’epoca, lo devo a questo libro.

Credo che sia un titolo da consigliare alle donne.
Credo che si rivaluti alla fine, quando ti viene la voglia di leggere le scene storiche con un occhio diverso.
Credo che il Postscritto debba essere messo nella prefazione, per mettere in guardia quelli che come me pensavano di aver comprato un thriller fantasy.