Qualche anno fa (parliamo credo del 2006) frequentai il mio primo corso di street photography.
Venivano messe a disposizione delle dispense, distribuite settimanalmente con lo stesso ritmo delle lezioni.

Verso la fine del corso mi ritrovai in mano una manciata di foglietti stampati che riportavano la definizione del momento decisivo di Henry Cartier-Bresson: la sua è certamente la definizioni che ha maggiormente condizionato la fotografia moderna, e soprattutto quella di strada. E’ un passaggio obbligato. Peccato averli letti solo alla fine…

Ma la cosa che mi colpì particolarmente di quelle righe erano i toni: non sembrava la lezione di un grande maestro, piuttosto consigli paterni, dati in modo semplice, quasi umile, con la stessa sensibilità con cui il fotografo affrontava i suoi soggetti.

Prima di allora non avrei mai concepito un libro di fotografia senza una fotografia (o quasi), ma corsi in libreria non un certo entusiasmo.

Fotografare è trattenere il respiro quando tutte le nostre facoltà di percezione convergono davanti alla realtà che fugge: in quell’istante, la cattura dell’immagine si rivela un grande piacere fisico e intellettuale. Fotografare è mettere sulla stessa linea di mira la testa, l’occhio e il cuore. Per me fotografare è un modo di capire che non differisce dalle altre forme di espressione visuale. È un grido, una liberazione. Non si tratta di affermare la propria originalità; è un modo di vivere

Il piccolo libro si chiama “L’immaginario dal vero“, un centinaio di pagine che oggi risultano più volte sottolineate se non addirittura consumate (pubblicato a settembre 2005, ISBN: 8884161037, ISBN-13: 9788884161031).

Il libro riunisce testi scritti in tempi diversi e si compone di due parti: L’istante decisivo del 1952 con post scritum del 1985 e L’immaginario dal vero. E si apre con la seguente citazione:

Non c’è niente al mondo che non abbia un istante decisivo” (Cardinale De Retz)

E Cartier-Bresson ha decisamente fotografato per una vita con l’unico scopo di cogliere questi momenti decisivi in modo puntuale, sviluppando una speciale sensibilità verso il mondo che lo circonda:

“Per «significare» il mondo, occorre essere coinvolti nella scelta di quanto lasciamo fuori dall’inquadratura.”

La prima impressione fu subito confermata: il libro è come un diario, il modo più intimo di avvicinarsi ad una persona, ricco di riflessioni, di confessioni e di racconti personali interessanti.

“Quello che mi appassiona e che mi guida in fotografia è che il gesto e il pensiero coincidono.”

Cartier-Bresson non vuole dare un insegnamento, parla semplicemente di sè.

“Ero lì, ed ecco la vita così come l’ho vista in quell’istante.”

Per un attimo ti dimentichi che hai a che fare con uno dei più grandi fotografi mai vissuti, con uno che ha viaggiato per il mondo intero (-con un bagaglio leggero-, la sua Leica, dice lui) registrando i cambiamenti storici e la vita quotidiana, con una perfezione formale e concettuale fuori dal comune; ti dimentichi che ha conosciuto i più grandi personaggi del suo tempo.
E ti dimentichi dell’uomo che ha contribuito alla fondazione della Magnum Photos, la più grande agenzia fotografica indipendente mondiale, oggi un patrimonio immenso, che vanta tra i suoi membri i più grandi fotografi della storia.

“Fortunatamente al riparo da fare dell’arte”.

Così ti ritrovi a tu-per-tu, magari davanti ad un caffè, a chiacchierare con Cartier-Bresson delle sue esperienze, quasi delle istantanee dei momenti decisivi della sua vita. A partire dalle delusioni e dalle prime difficoltà:

“I fotografi si trovano sempre di fronte a un’alternativa e qualsiasi soluzione induce necessariamente a dei rimpianti. Esiste la scelta che facciamo quando inquadriamo il soggetto, e quella che facciamo dopo aver sviluppato e stampato la pellicola. Dopo lo sviluppo e la stampa, dovete occuparvi di fare una scelta tra le immagini, mettendo da parte quelle che, sebbene corrette, non sono le più incisive. Vi accorgerete allora, quando è troppo tardi, con terribile chiarezza, dove avete fallito. A questo punto, ricorderete il sentimento rivelatore che avevate provato mentre stavate fotografando. Era un momento di esitazione dovuto all’incertezza? Era causato da una separazione fisica tra voi e l’evento? Era semplicemente il fatto che voi non consideravate un certo dettaglio in relazione all’insieme? O (e questo è più frequente), il vostro sguardo era distratto, i vostri occhi erano disattenti?”

Oppure, una delle migliori lezioni di street photography:

“Avevo appena scoperto la Leica che divenne un prolungamento del mio occhio e d’allora non me ne sono mai separato. Giravo tutto il giorno per le strade, sentendomi sempre in agguato, pronto a gettarmi per “intrappolare” la vita, a conservarla nel momento stesso in cui è vissuta. Ciò che desideravo di più di tutto era di afferrare nei confini di una singola fotografia, l’intera essenza di una situazione, che si stava svolgendo davanti ai miei occhi.”

La sua scrittura andrebbe letta e riletta, studiata, assimilata: affronta ogni argomento: fotografia, estetica del quotidiano, reportage, scelta del soggetto, ritratto, colore, composizione, tecnica, responsabilità, rapporto tra il fotografo e i giornali che pubblicano le sue fotografie.

“In ogni reportage fotografico che cerchiamo di fare, siamo obbligati ad arrivare come degli intrusi. È necessario, tuttavia, avvicinarsi al soggetto in punta di piedi, anche se si tratta di una natura morta. Una mano di velluto, un occhio di falco, questi requisiti che tutti devono avere: non serve farsi avanti a gomitate. E neppure fotografare con l’aiuto di qualche riflettore, se non altro per rispetto della luce naturale, anche quando di luce non ce n’è. Se un fotografo non osserva queste condizioni, può diventare intollerabile ed aggressivo.”

Inutile quindi dire che nelle poche pagine si trovano tutti gli ingredienti della grande lezione di Cartier-Bresson: testa, occhio, cuore, gesto, pensiero, mano di velluto, occhio di falco e scelte faticose.

I tempi oggi sono cambiati.
Molti consigli pratici forse oggi sono superati, forse inappropriati.

Ma la sua è prima di tutto una lezione di vita, di stile: una filosofia che guida ognuno di noi ad interfacciarsi alla realtà che ci circonda in modo rispettoso ed attento.

L’immaginario dal vero” è uno dei pochi veri autentici libri di fotografia in mio possesso: dopo di lui molti inutili cloni.
E’ conservato gelosamente ma sempre a portata di mano, proprio perché un punto di riferimento a cui attingo spesso per predispormi con il giusto stato d’animo prima di una passeggiata con la mia reflex per le strade della mia città.