Se c’è un posto che riveste tutt’oggi per me un grande fascino è l’edicola.

Credo che la cosa sia legata alla mia infanzia.
Mio nonno mi ha viziato a fumetti, figurine, gadget.
Mi sono ritrovato presto con un patrimonio di albi che oggi mi piacerebbe aver conservato intatti.

E da quando potei cominciare a spendere la mia paghetta in autonomia, l’edicola diventò una tappa obbligata: a portata di mano, alla mia altezza, trovavo i fumetti, le cassette (quelle a nastro) con i videogiochi per il Commodore, libri e giocattoli.

E tante riviste.
Compravo di tutto: nella mia camera avevo intere collezioni di Suono, The Game Machine, Chip, Aeronautica e Difesa, National GeographicQuattroruote. Qualche volta azzardavo a comprare qualche Max, che cercavo puntualmente di mimetizzare con le tonnellate di Topolino.

Inutile dire che riuscivo a malapena ad intuire il contenuto di molti degli articoli che leggevo!

Le edicole del mio paese erano grandi: ci passavo ore alla caccia di qualche novità da sfogliare: scaffali alti e tavoloni colmi e poi cesti strabordanti di roba accatastata in offerta.
Riuscivi a trovare anche materiale vecchio di anni dimenticato in qualche angolo.
I proprietari mi conoscevano, ed erano loro stessi, a volte, a propormi qualche nuova rivista o qualche fumetto.

Ma non era una mia prerogativa: molti dei amici avevano la stessa abitudine. Le edicole erano un modo per dare uno sguardo fuori, per alimentare i nostri desideri più fantasiosi. Ma anche per educare quelle attidudini che hanno portato molti di noi a diventare poi informatici, ingegneri, giornalisti. Purtroppo spesso lontano da casa.

Sarà che sono passati anni, ma oggi le edicole non sono in grado di esprimere il loro potenziale: se ti va bene sono dei gabbiotti di metallo dove le riviste le puoi vedere con il binocolo. La gente ci passa di corsa, agguanta il giornale e scappa.
E se piove, nemmeno ci passa.

Laddove qualcuno può permettersi di aprire una edicola dentro una stanza vera, questa è sempre troppo piccola, con troppa roba e troppo ammucchiata. E se ti fermi a sfogliare qualche rivista, sei guardato con sospetto.

Ho dovuto, a malincuore, rinunciare alla mia gita settimanale in edicola ormai da molti anni.
E non solo: oggi per portare a casa un settimanale, ti tocca comprare anche un paio di occhiali da sole, un cappello con visiera, un po’ di stoviglie ed un DVD d’autore.

Per farla breve, la mia edicola di fiducia ha chiuso.
Senza preavviso.
Ieri c’era il bandone abbassato con un cartello.
Oggi ho visto che è stata svuotata, e ci sono lavori di pesante ristrutturazione.
Sembra che riaprirà.
Ma non sarà più una edicola.

Ci avevo messo un paio di anni per guadagnarmi la fiducia dell’edicolante: mi bastava una telefonata, o un cenno dalla moto, per farmi mettere da parte fumetti e riviste e libri.
Era in grado di farmi credito per mesi anche per molte decine di euro.

Dovrò trovarmi un’altra edicola ed un altro edicolante.
Dovrò spiegare loro che io, nella loro edicola, voglio prima di tutto curiosare. Guardare. Scegliere.
E poi, magari, comprare. Ma soprattutto instaurare un rapporto di fiducia.

Al momento ho alcuni esperimenti in corso:

Una signora incartapecorita che mi guarda torva da una finestrella ricavata tra due pile di riviste mi ha già saltato due appuntamenti settimanali. Non si muove da dietro il bancone. Ti mostra gli scaffali con un dito secco che indica contemporaneamente due o tre direzioni. In un caso ha anche avuto il coraggio di dirmi:  non è uscito. Peccato fosse semplicemente l’inserto del Corriere della Sera, puntuale come un orologio svizzero.
E si fa pagare in anticipo!

Un signore alquanto loquace che ha scoperto grazie a me che anche lui vende il magazine di Le Scienze: da questo momento credo abbia un debito morale che cerca ostinatamente di saldare cercando di vendermi tutte le volte i librottoni di Winnie The Pooh per mio figlio.
Pensa quando proverò a chiedergli qualche numero di Wired.

Un altro signore che rimane barricato dietro una tonnellata di materiale della Fiorentina, e che non ti molla mai una rivista se non giuri eterna fedeltà ai Viola. Forse, se la prossima volta mi sforzassi di scambiare qualche frase con la “C” aspirata, potrei saltare l’esame apparentemente obbligatorio del “fiorentino DOC“, che tanto non potrò mai superare.
E magari potrei risparmiarmi anche i 15 minuti di ingiurie a Della Valle.