La Diana è una fotocamera con corpo in plastica, prodotta per la prima volta durante gli anni ’60, che utilizza film a 120mm, 135mm, 110mm e pellicole istantanee Fuji instax Mini. La fotocamera ha un semplice obiettivo integrato in plastica a menisco. La Diana spesso soffre di infiltrazioni di luce, problemi di avanzamento del film e altro. Nonostante ciò, la sua lente in plastica di bassa qualità è stata celebrata dai lomografi per i suoi effetti artistici nelle fotografie, e la qualità “onirica” nella stampa.


Nell’era del digitale e delle impostazioni automatiche, rispolverare qualche vecchia fotocamera, magari degli anni ’60 o ’70, potrebbe sembrare anacronistico.


In realtà credo che sia proprio un eccesso di facilitazioni e la mancanza di controllo a provocarmi una sorta di rigetto (almeno temporaneo) per la tecnologia spinta; e quindi la conseguente tendenza alle tecniche fotografiche di altri tempi, quando i fotografi erano pochi, esperti e riconosciuti.
O forse è solo una autentica nostalgia dei colori sbiaditi e della grana grossa, non so.


Oggi siamo tutti fotografi” è una affermazione certamente da leggere in tono positivo, perché trasuda di potenziale artistico da esprimere senza vincoli tecnici, ma purtroppo si rischia di appiattire ed abbassare il livello qualitativo generale delle fotografie che si producono.

Ed infatti, davanti ad una macchinetta tradizionale, di quelle senza batterie, senza led e soprattutto senza esposimetro, sono in tanti ad arrendersi, incapaci anche a concepire uno scatto seppur di qualità “casalinga”.

Qui 3 esposimetri esterni, di moderna concezione, sufficientemenete economici e reperibili su amazon.it. Per chi proprio non vuole fare a meno dell’esposimetro anche con macchine datate e tradizionali…

 


Come si faceva quando le macchinette non avevano CPU e sensori?

Io ricordo appena i suggerimenti stampati nel retro delle confezioni delle pellicole (come quelli pubblicati a lato) che spesso venivano seguiti pedissequamente, senza  riflettere sul meccanismo che li aveva generati.

In ogni caso tutti i fotografi sufficientemente esperti di vecchia scuola  hanno fotografato tranquillamente senza ausili esterni, utilizzando ovviamente la loro esperienza ma anche alcune semplici regole.

Facciamo così: sforzatevi di immaginare l’esposimetro della vostra reflex guasto, oppure immaginatevi con una toy camera in mano (tipo la Lomography – Diana F+)  mentre vi chiedete se il rullino montato è adeguato per una foto all’ombra di un palazzo in centro.

Ed ecco come la “regola del 16“, certamente quella più diffusa e di facile memorizzazione, vi viene incontro.

La regola vi dice che se il soggetto è ottimamente illuminato ed in pieno sole dovete impostate il diaframma a f/16 e scattare con tempi che sono l’inverso dell’ISO.
L’apertura f/16 è il riferimento, da qui il nome della regola.
Esempio:

Pieno sole + ISO200 + F16 + 1/200s  = foto correttamente esposta

Se ci fate caso, nella illustrazione in alto, il suggerimento che si trovava allegato con un film da 400ISO è il seguente:

Pieno sole + ISO400 + F16 + 1/500s = foto correttamente esposta

Le vecchie camere non prevedono tempi di scatto di 1/400 di secondo, quindi si deve approssimare ad 1/500s. Ma oggi, volendo, con una digitale a ISO400 possiamo permetterci :

Pieno sole + ISO400 + F16 + 1/400s = foto correttamente esposta

Il resto è banale: dovete garantire che la luce che arriva al sensore o alla pellicola sia sempre quella suggerita: quindi se chiudete il diaframma di uno stop (dimezzando la luce) dovete aumentare i tempi del doppio (ristabilendo così la luce persa).
Così, usando il principio di reciprocità, potete utilizzare qualsiasi coppia tempo diaframma.
In particolare, con un 400ISO in pieno sole potete scegliere tra le seguenti coppie:

400ISO  +  F16 – 1/400 oppure F11 – 1/800 oppure  F8 – 1/1600 oppure  F5.6 – 1/3200 etc

Il meccanismo è semplice: se per i tempi è sufficiente dividere o moltiplicare per 2, per il diaframma è sufficiente “scorrere” le aperture secondo la classica serie di intervalli di 1 stop (aprendo il diaframma di uno stop di raddoppia la luce e l’indicatore numerico diminuisce).:

1 – 1.4 – 2 – 2.8 – 4 – 5.6 – 8 – 11 – 16 – 22 – 32 – 45 – 64

Ma se non sono in pieno sole?

  • Se il cielo è velato è sufficiente raddoppiare la luce (questo va bene anche se si è in pieno sole ma in controluce).
  • Se il cielo è molto nuvoloso si raddoppia ancora.
  • Se si è in ombra, anche in una giornata di sole, si raddoppia ancora.
  • Se si è al chiuso con modesta luce artificiale, si raddoppia ancora.

E così via…

Ad esempio, se vogliamo tenere fissi i tempi (è una nostra scelta) allora lavoriamo con il diaframma:

Pieno sole + ISO400 + F16 + 1/400s = foto correttamente esposta
Cielo velato + ISO400 + F11 + 1/400s = foto correttamente esposta
Cielo nuvoloso + ISO400 + F8 + 1/400s = foto correttamente esposta
Ombra + ISO400 + F5.6 + 1/400s = foto correttamente esposta

Sfruttando la legge di reciprocità, come fatto precedentemente, è possibile ricavare le altre coppie di tempi e diaframmi per tutte le situazioni di illuminazione.

Un buon articolo sul metodo è questo.

Se poi volete costruirvi il vostro esposimetro analogico basato sulla regola del 16, leggete questa pagina.

Una nota di attenzione: la regola del 16 funziona abbastanza bene, ma va tarata in funzione delle varie macchine e delle varie pellicole/sensori: quindi più che altro è un buon riferimento in condizioni di assoluta mancanza di esposimetro.
Sicuramente è un ottimo strumento per imparare a “leggere la luce”.

Facciamo un esempio pratico: pensiamo allo Spinner Dolphine 360 di Lomography.
Dispone di due diaframmi: f/8 (selettore a nuvole) ed f/16 (selettore a sole), mentre i tempi variano in genere da 1/125 di secondo ad 1/250. Per semplicità diciamo che lo Spinner lavora in media a 1/200 di secondo.
L’unico vero parametro con cui giocare è proprio l’ISO dei film, che però mette a disposizione poche scelte.

ISO film: 25, 50, 100, 200, 400, 800, 1600, 3200
La regola del 16 è stata concepita per le camere analogiche, con le quali è sempre meglio sovraesporre, per evitare il rischio di perdere dettagli nelle ombre.
Ma con il digitale, la sovraesposizione è assolutamente sconsigliata ed è meglio sottoesporre: tutti i dettagli nelle alte luci sono irrimediabilmente persi.
Ecco che allora per il digitale forse è meglio trasformare la regola del 16 ne la regola dell’11 (stesso meccanismo ma con riferimento f/11).
Molto completo e ricco di tabelle questo post ospitato dal Leica Lab.

Fatemi sapere se per voi funziona!

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