Sono stato contattato da PaperBlog.

Sembra che alcune cose che scrivo siano abbastanza interessanti per loro, e mi hanno chiesto di far parte della loro redazione.

Mi hanno indicato la procedura per arruolarmi, e l’ho fatto. In effetti gli articoli che selezionano sembrano tutti di qualità: mi sono sentito lusingato. Sarà stata anche la parola “redazione”, che ha un suono così accattivante.

Dopo 3 giorni me ne sono pentito.

Non voglio entrare in merito ai meccanismi di PaperBlog, soprattutto in quelli commerciali. E la signora è stata molto cortese e soprattutto il contatto sembrava personale. E forse ero distratto io.

Fatto sta che PaperBlog non è un aggregatore classico di blog. Ma prende gli articoli e li mette nel proprio contenitore: li reimpagina, li affianca ad articoli sullo stesso tema e li fa indicizzare ai motori di ricerca come propri.

E’ vero: c’è il link al blog originale, ma a cosa serve se l’articolo completo è già stato letto, masticato e digerito?

Ieri faccio una ricerca su Google, trovo un mio articolo, ma il dominio è quello di Paper Blog: ecco, questo non mi va. Non so spiegarlo. Ci sto rimuginando sopra da un po’. Alla faccia della libera circolazione delle informazioni e della democrazia della rete. C’è qualcosa che non mi va.

Certo, se le statistiche sono veritiere, la vetrina funziona: in tanti hanno letto i miei articoli: ma solo 1 su 20 è poi saltato sul mio sito. Gli altri erano rimasti contenti così. Anche perché i miei articoli, su PaperBlog, si trovano proprio tutti. (o quasi).

Ci ho pensato su: sarò strano ma a me non interessa aumentare la visibilità perdendo l’identità. E vedere i miei articoli sotto un altro dominio, per me, è come perdere l’identità. Ed il controllo. Non sarà vero, ma questa mattina la sensazione che ho messo a fuoco era quella. Soprattutto se scrivo con la convinzione di scrivere per me e per i pochi che mi conoscono.

Dal blog non ci guadagno nulla, se non l’opportunità di fissare qualche pensiero e dare sfogo ai miei hobby. Lo trovo terapeutico, per altro. Fermarmi qualche minuto e congelare un’idea mi estranea dal mio mondo frenetico e stressante. Quello reale, quello importante, che per fortuna rimane fuori.

Quindi ho chiesto la cancellazione. Grazie lo stesso.