Mi è capitato spesso di fotografare fuoco e fiamme.

E sono andato in deroga al mio bianconero.

Rossi, gialli, i chiaroscuri del fumo, che meritano il minore contrasto che amo nel bianconero, mi hanno sempre spinto per il colore.

Una eccezione, in effetti. E scarsi risultati.

Fino al giorno in cui sono incappato in una foto strabiliante, ed ho imparato subito qualcosa:

Avrei dovuto conoscere non solo il fotografo, ma anche il reportage da cui era tratta.

Ho fatto l’autopsia a quella pubblicazione: niente autore. Peccato mortale.

Non voglio commentare la foto: acqua e fuoco, fumo, contrasti, volumi, composizione, profondità. E la luce. Un immagine da scenario post-apocalittico. Una storia lunga da raccontare, a parole. Un’opera di sintesi che uno spera sempre di poter fare, un giorno.

Non voglio nemmeno che vi immedesimiate nel fotografo, che immaginiate di stare al suo posto, di provare ad attivare il vostro, di processo creativo. Non ancora, almeno.

Ognuno se la goda come vuole.

Da quel giorno la caccia.

Fino a che non ho visto un’altra foto:

Era la stessa mano. Lo stesso occhio. Gli stessi toni. La stessa luce.

Sembrano sculture di bronzo che brillano al sole in una installazione iper-realistica: la luce è plasmata al volere di un occhio attento.

Sebastião Salgado.

Mica uno qualsiasi.

Uno della Magnum. Oltretutto.

“Workers”.

Sono corso in libreria: mi sono portato a casa un’opera incredibile
Peccato per il titolo in italiano. Non era necessario tradurlo.
6 anni e 23 paesi e 30 reportage sul lavoro dell’uomo. Sui diritti dei lavoratori. Sulla povertà che diventa fatica fisica.
Scenari inimmaginabili, in posti ed in contesti durissimi.Il tutto dietro un progetto personale. Quasi completamente autofinanziato.

Dalla raccolta della canna da zucchero a Cuba, alla raccolta del tè in Ruanda, dalla miniera d’oro di Serra Pelada in Brasile, alla miniera di zolfo in Indonesia. E la tonnara in Sicilia.

E immagini incredibili, tecnicamente incredibili.

Un reportage in condizioni difficili fatto con la maestria di un artista. Rarissimo. mai visto.

Sembrano immagini progettate. E lo sono, in un certo senso.

Il modo con cui gioca con la luce è da scuola. Il bianconero è quello a cui aspiro inutilmente ogni giorno.

Salgado plasma luci e ombre tirando fuori immagini che sono drammatiche e tridimensionali, sapendo scegliere quando lavorare con il contrasto e quando lasciare la morbidezza dei toni.

Il tutto “solo” con una LEICA 35mm.

La prossima volta che qualcuno mi farà vedere delle foto brutte, e giustificandosi mi dirà che “tanto è un reportage”, lo tramortirò con questo pesante libro.

Godetevi l’anteprima del libro qui, miracolosamente presente nei libri di Google.