Ognuno ha la sua fonte di ispirazione, ed il suo rito propiziatorio.

Io ho The Americans di Robert Frank.
Tutte le volte che esco con l’intenzione di scattare qualche foto in giro per la città (ora si chiama street photography) sfoglio quell’incredibile libro e leggo l’introduzione si Jack Kerouac.
Mettete uno svizzero che a 23 anni dopo la guerra lascia l’Europa per andare in America.
Mettete che è pure grande amico di Walker Evans, che per primo ha usato la fotografia come mezzo di denuncia e di documentazione sociale.
Mettete che a 31 anni è il primo fotografo europeo a vincere la borsa di studio annuale della John Simon Guggenheim Memorial Foundation di New York. Era il 1955. Un talento.
Robert Frank – la foto che apre il libro

Lui che fa? Investe i soldi (con la benedizione della Fondazione) in un viaggio lungo un anno, per le strade degli Stati Uniti.
Lui, la moglie ed i suoi due figli.

48 stati dal 1955 al 1956.
Attraversati in modo precario su una vecchia automobile usata.
E scatta la bellezza di oltre 25.000 fotografie.
La fondazione spera che dal lavoro di Robert Frank possa venire fuori la grandiosità di una nazione, gli Stati Uniti, che avevano attraversato momenti bui (c’era stata la grande depressione) ma che stavano rinascendo in modo prepotente.
E lui che fa: seleziona ed organizza SOLO 83 foto.
Ma le sue immagini non piacciono.
Lui si esprime con un linguaggio nuovo. Ha un senso estetico diverso. Ha una strana agilità, con quella macchina che tira fuori con una sola mano e scatta quasi di istinto.
Gli americani ne escono fuori in modo inedito: vengono fuori con la loro vera anima, che mai prima d’ora era stata impressionata su una pellicola.
Robert Frank – funerale

Il genio di Robert non trova un editore.
La Fondazione non lo aiuta: non sono quelli gli americani che si aspettavano.

Così lui va in Francia, dove pubblicano il suo libro nel 1958.
Ed in Europa il successo è strepitoso.Alla fine gli Americani lo stampano (sono costretti a farlo) ma lo massacrano di critiche.
Lo definiscono un anti-americano di sinistra: ma lui è un innovatore che sa osservare. Kerouac dice che lui sa vedere.
Se non fosse stato per l’introduzione di Kerouac sarebbe stato un flop. (qui trovate la prima bozza scritta a macchina)
Gli Stati Uniti non sono pronti per il lavoro di Robert Frank: la sua visione è molto personale, distaccata e triste. Tira fuori l’anima inquieta di un popolo.
Lui è definito un poeta tragico del mondo: ma io penso che il suo stato d’animo sia sempre stato incerto, davanti a questo mondo.

Robert Frank – ascensore

Ma non è questo il punto.

Pensate al lavoro di selezione delle 25.000 immagini.
Agli scatti sacrificati in nome di un progetto.
Alla sforzo di impaginare quasi con un taglio cinematografico, quasi fosse un montaggio.
Allo sforzo di raccontare una storia, fatta di fotogrammi collegati tra di loro.
Oppure attraverso il rincorrersi di temi ricorrenti: la morte, le bandiere, i jukebox, i cappelli, le automobili.

Si tratta di un capolavoro. Di un metodo. Di un insegnamento.
Si tratta del primo esempio di un vero e proprio progetto documentale editoriale coerente e consistente.
Si tratta di un lavoro di sintesi di estrema efficacia.
Si tratta di un invito alla qualità. Alla sostanza e non alla forma.
Si tratta di sposare una idea ed un disegno, e difenderlo.
Si tratta di narrare con le immagini.

Chi come me fa street photography ha la presunzione di documentare la vita che scorre nel suo quartiere, nella sua città.
E dopo ogni uscita porta a casa centinaia di scatti, che magari si riducono a poche decine di immagini decenti.
E spera che alcune di esse abbiano qualcosa da dire.

Ma il lavoro è appena iniziato: è necessario fare una selezione, correlare le immagini per tema, stile.
E’ necessario disassociare i proprio ricordi, la propria visione del mondo che è rimasto fuori dall’inquadratura, e concentrarsi solo su ciò che si è deciso di immortalare.
E’ necessario avere in mente la storia che si vuole raccontare.
E’ necessario dare un taglio preciso al proprio lavoro.
E’ necessario essere preparati, e non avere paura di affrontare il mondo.

E per questo ci vuole talento, ed è necessario conoscere il linguaggio fotografico del reportage.
E Robert Frank, questo linguaggio, lo ha inventato.

Dopo di lui nessuno ha avuto la sua capacità da pioniere.
Ed oggi, purtroppo un’opera del genere è inconcepibile.
Per mille problemi, anche legati alla privacy: ma questa è un altra storia.

Ed allora quasi quasi mi guardo qualche immagine, mi faccio raccontare qualche storia, e poi faccio un salto fuori con la mia reflex.

PS: il libro lo trovate ristampato e tradotto dalla Contrasto per il 25th. Date un occhio anche qui.