Continua la mia collezione di app per iPhone che calcolano la profondità di campo (DoF: “deep of field”).Sembra che questa volta abbia trovato qualcosa di diverso, di più completo.

Sto parlando di TrueDoF.

Come tutti i software analoghi, permette di impostare la dimensione del sensore, la lunghezza focale, la distanza di messa a fuoco e l’apertura del diaframma. La profondità di campo è indicato in uno stile simile a quello che si trovava stampato sui barilotti dei vecchi obiettivi che avevao la ghiera del diaframma (bei tempi…)
L’interfaccia è piacevole e molto pratica: peccato però che non vengano riportati anche dei valori numerici oltre a quelli sulla scala grafica.
Ma fin qui niente di nuovo sotto il sole, se non fosse che TrueDoF prende in considerazione anche gli effetti della diffrazione: “è un fenomeno fisico associato alla deviazione della traiettoria delle onde (come anche la riflessione, la rifrazione, la diffusione o l’interferenza) quando queste incontrano un ostacolo sul loro cammino“. A lato un’onda piana che attraversa una piccola apertura. L’onda tende a mantenere la sua forma, ma evidentemente le deformazioni indotte dall’ostacolo sono molte.

La luce ha una natura ondulatoria, e quando attraversa un’apertura sottile viene diffratta e forma una struttura di regioni luminose e scure sul sensore o sulla pellicola.

Il modello di diffrazione che risulta da un’apertura circolare uniformemente illuminata (il diaframma, appunto) ha una regione luminosa nel centro, conosciuta come Disco di Airy che, assieme ad una serie di anelli concentrici, viene chiamata modello di Airy. Il diametro di questo disco è funzione della lunghezza d’onda della luce illuminante e della dimensione dell’apertura circolare.L’applicazione più importante di questo concetto avviene proprio nelle macchine fotografiche o nei telescopi. A causa della diffrazione, il punto più piccolo nel quale si può mettere a fuoco un raggio di luce usando una lente è delle dimensioni del disco di Airy. 
da qui

Semplifichiamo: pensate alla luce che deve passare attraverso un diaframma molto “chiuso“. Gli effetti della diffrazione saranno enormi e assolutamente non trascurabili. Diaframmi molto chiusi come ad esempio F22 o F32 sono usati per ottenere un’estesa profondità di campo.Purtroppo però la risoluzione dell’obiettivo (e quindi la nitidezza dell’immagine) ne risulterà notevolmente diminuita. Basta guardare l’immagine in alto per rendersene conto!
E gli effetti di vignettatura saranno molto evidenti, insieme a quelli di aberrazione cromatica.

Ecco che TrueDoF ci viene incontro, e ci fa scoprire, ad esempio, che con con una fotocamera full-frame, con un 35mm ed una messa a fuoco a 5 metri si lavora in iperfocale con F11, ma con un diaframma di F22 la nitidezza scompare del tutto! (immagine al lato)


Le cose peggiorano se la dimensione del sensore diminuisce (quindi sulle camere digitali non full-frame gli effetti della diffrazione saranno amplificati).
Ecco che quindi il consiglio empirico di non aprire oltre F22 prende una giustificazione concreta, ma TrueDoF evidenzia come in alcuni casi anche un F11 possa diventare un limite da non oltrepassare.

Ma l’app non si ferma qui.
E’ evidente che la nitidezza cercata è anche funzione dell’output per cui quello scatto è stato pensato. Faccio riferimento ad un concetto che si chiama “circolo di confusione“: il circolo di confusione è il più piccolo cerchio che l’occhio umano riesce a distinguere ad una determinata distanza. E tutte le immagini sono costituite da punti, o da piccoli cerchi.

Ad esempio in una stampa da 20×25 centimetri, un normale occhio umano distingue 5 linee per millimetro alla distanza di 25 centimetri (il circolo di confusione corrisponde al reciproco di 5, quindi 0,2 millimetri). Di conseguenza una pellicola 35mm (24x36mm) deve essere ingrandita di 7,56 volte per raggiungere il formato 20×25 centimetri usato come termine di paragone. Quindi il circolo di confusione sarà calcolato come 0,2mm / 7,56 = 0,026 mm. Diminuire o aumentare questo valore rende l’immagine più o meno nitida.

Ecco che tra i parametri che si possono impostare TrueDoF  ci sono anche le dimensione delle stampe previste, rispetto alle quali la nitidezza diventa un fattore relativo: più si prevede di stampare grandi formati, minore è la profondità di campo che viene indicata dall’app a parità degli altri indicatori.
Impostando valori medi (ad esempio una stampa larga circa 25cm) si possono ottenere risultati medi, accettabili in condizioni normali.

Il grosso vantaggio di questa app è che quindi non fa un semplice calcolo sulla DoF, ma fornisce uno strumento per valutare la reale resa in termini di nitidezza di una immagine.

TrueDoF  da questo momento farà parte integrante del mio kit fotografico.