(Questo non sarà un post leggero.

Le immagini sono un meritato pugno nello stomaco. E ho scelto quelle morbide…)

Ruanda, 1994 – Sopravvissuto al campo della morte Hutu

E’ possibile cambiare il mondo con la fotografia?

Evidentemente qualcuno ci prova.
Mi riferisco per esempio all’iniziativa shoot4change (di origine italiana e a cui prima o poi dedicherò un post).

Ma c’è qualcuno a cui questa impresa è realmente riuscita?
Certamente a lui sì: James Nachtwey.

Nel giugno 2007 mi trovavo ad Amsterdam, una città privilegiata per chi ama la fotografia.
Decido di fare un salto al FOAM, un vero tempio.
Mi infilo nell’ala principale, ed ad accogliermi trovo l’immagine (enorme) del ragazzo del Ruanda sfigurato ma sopravvissuto al campo di concentramento ed alle torture con il macete.

Capisco subito che questo è solo un avviso: mi aspettano decine di fotografia che raccontano senza filtri l’Inferno sulla terra.

“Sono stato un testimone e queste immagini sono la mia testimonianza. Gli eventi che ho registrato non dovrebbero essere dimenticati e non devono essere ripetuti”.

Dal 1981 Nachtwey segue e documenta guerre, conflitti sociali, epidemie, fame.
Si va dal Ruanda al Sudan, dalla Somalia al Kosovo, da Israele alla Bosnia, dalla Cecenia all’Indonesia, dal Libano alla Russia.
Egli è uno dei più influenti e più pubblicati fotografi contemporanei: le sue fotografie ci permettono di vedere dietro i giochi di potere e di ricondurre anonimo orrore a destini individuali: le immagini prestano volti indimenticabili a crisi per noi lontane e astratte. 
Gente normale loro malgrado, storie di singoli che rappresentano il destino di interi popoli.
Un giro del mondo per i posti più infernali ed inospitali, posti dove l’uomo ha saputo tirare fuori il peggio di se.

Impronta di un uomo ucciso da serbi, Kosovo, 1999
Niente a che vedere con quello che ci propinano i telegiornali.
Gli scatti di James Nachtwey non lasciano adito a fraintendimenti: i corpi decomposti, il sangue asciugato sull’asfalto, gli occhi dei bambini allucinati comunicano senza bisogno di aggiungere parole la sofferenza umana.

“Anche nell’era della televisione, la fotografia mantiene una capacità unica di cogliere un attimo fuori dal caos della storia per conservarlo e tenererlo sotto i riflettori. Mette un volto umano su eventi che potrebbero altrimenti offuscarsi in astrazioni politiche e statistiche. Si dà voce a persone che altrimenti non ne avrebbero una. Se il giornalismo è la prima bozza della storia, allora la fotografia è ancora più difficile, perché per catturare un attimo non si dispone di una seconda possibilità”.

Guarda, ti dice ogni sua foto, continua pure a guardare. Non andartene. 


L’orrore prende piede, più profondo del previsto.
Dopo tutto quello che ho visto al telegiornale della sera, come può un altro insieme di occhi morenti o morti avere un effetto così forte? 
E’ semplice. 
L’orrore e le suggestioni delle foto di Nachtwey coinvolgono non solo i governi o i signori della guerra o i delinquenti che sono direttamente responsabili, ma chiunque avrebbe potuto fare qualcosa per evitare quelle tragedie e non lo ha fatto. 
Chiunque. Tu. Io.
Questi inferni non sono di un altro mondo o in un altro tempo. Sono qui, sono adesso.
L’obiettivo oggi è di provocare l’azione, non dare colpe.
Nonostante il loro intento documentario, le fotografie di Nachtwey non sono istantanee: loro mostrano un
approccio artistico e la perfezione del bianco e nero. Il soggetto è messo in evidenza in modo chiaro, perfetto in termini di tecnica e composizione. Le fotografie sono esteticamente gradevoli, opere d’arte, ma il loro contenuto è scioccante e ripugnante.
Sono un pugno nello stomaco tanto più forte quando si è costretti ad ammettere nel confort del nostro punto di vista la bellezza e l’equilibrio perfetto con cui sono costruite queste immagini.

La cosa triste è che alla fine di tutto ciò ti rendi conto di essere un grande ignorante: non conosci quasi nulla di quegli eventi, di quei luoghi.
Non hai una opinione in merito.

Tornato a casa ho comprato il suo libro: INFERNO
460 pagine – Phaidon 1999 , ISBN-10: 0714838152, ISBN-13: 978-0714838151
Il libro è più di un coffee-table book tradizionale (pesa quanto un tavolino da caffè, quasi 5kg). 
Con gli ultimi anni di conflitto in Europa e nel Medio Oriente, le devastanti guerre civili in Africa, l’undici settembre e la guerra in Iraq, i libri che presentamo fotografie di guerra sono diventati comuni nei negozi.
La tecnologia disponibile consente una distribuzione rapida delle immagini, quasi in tempo reale. Tuttavia un libro con la forma, le dimensioni ed il contenuto di INFERNO è evidentemente ancora possibile. 
Perché è così? 
Dalla sua dimensione al suo contenuto, INFERNO si avverte come un cenotafio, un monumento dedicato alla memoria delle vittime.
Queste non sono le vittime di cataclismi naturali, queste sono le vittime dell’avidità umana per il potere, la violenza, la stupidità, e gli impulsi distruttivi dell’uomo.

Noi siamo il nostro incubo, anche se facciamo finta di ignorarlo, anche se chiudiamo gli occhi sul fatto che alcuni stanno pagando un prezzo alto a causa nostra.

INFERNO è un grido: di dolore e di aiuto nello stesso tempo.
Io, quel giorno, sono uscito dal FOAM diverso. E con un’idea diversa della fotografia. 
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