Castello di Roddi
Due osservazioni.

Qualcuno ha scritto che quando si crea una immagine ci sono in gioco oltre cinquemila variabili che possono corrispondere ad oltre cinquemila opzioni di scatto. E’ quindi probabile che la nostra immagine finale possa risultare differente da quanto ci attendiamo.

Il bianconero è un modo di rappresentare la realtà particolarmente efficace: si concentra sui soggetti, eliminando spesso fattori che possono distrarre dal significato intrinseco di una immagine. Aggiunge drammaticità agli scatti ed è certamente un linguaggio affascinante, diretto.

Il Sistema Zonale è uno strumento formidabile, un metodo scientifico orientato alla creazione artistica. Di concezione antica (risale ad Ansel Adams) ma sempre attuale, anche in un mondo fortemente digitale.
L’idea è semplice: è un procedimento che ci permette di prevedere quale sarà il risultato finale di un nostro scatto in bianco e nero (ma è in parte applicabile anche agli scatti a colori). Si fonda sul concetto di previsualizzazione che è parte integrante del processo creativo e tecnico.

San GalganoOvviamente occorre avere una idea precisa del modo in cui la luce investe i soggetti e la scena, ed anche di come poi quella luce verrà registrata sulla pellicola o sul sensore: diventa necessario padroneggiare i controlli dell’esposizione per poterci garantire un’ampia gamma tonale e un maggior numero di dettagli nelle aree significative della foto.
E poi il metodo arriva a dare indicazioni circa i processi di sviluppo e stampa (che però qui non verranno affrontato).

Personalmente, prediligendo in generale il bianco e nero come scelta stilistica, mi capita ormai di applicare questo metodo quasi in automatico: se all’inizio può sembrare complicato e macchinoso, in realtà è molto semplice, e l’esperienza tenderà ad adattarlo via via alle proprie esigenze.
Per altro mi è già capitato di farne cenno in altri post sulle tecniche di esposizione.

Diamo per scontato concetti come il diaframma, il tempo di esposizione, la sensibilità della pellicola o del sensore (ISO) o il funzionamento degli esposimetri.
Così come diamo per scontato che si conosca a fondo il funzionamento della propria camera: sapere ad esempio se il diaframma è impostato a passi di 1/3 di stop, o di 1/2 o se la velocità dell’otturatore è correttamente calibrata.

DSC_4358b - Parco dell'UccellinaPer usare il metodo del Sistema Zonale è fondamentale capire come la luce disegna le nostre immagini: la luce nel nostro scatto si traduce in una gamma di toni che vanno dal nero più profondo al bianco più intenso. I neri sono caratteristici delle ombre, i bianchi delle luci.
Nelle immagini in BN la gamma dei valori di luce è descritta come gamma di toni: più toni ci sono, maggiori sono i dettagli visualizzati.

Pensate ad una immagine con solo un tono: tutta bianca o tutta nera: è evidente che questa immagine sarà priva di ogni dettaglio! Al contrario, una immagine composta da un’ampia gamma di toni, dal nero profondo al bianco acceso, passando dalle varie sfumature di grigio, sarà una immagine ricca, soprattutto laddove le ombre saranno morbide e la transizione dalle ombre alla luce sarà graduale.
Questa caratteristica si chiama latitudine di posa, già descritta in un altro post.

Il problema è che però il mondo circostante è a colori (fortunatamente, aggungerei) e dobbiamo esercitare un considerevole sforzo per poter traslare questa percezione fino a visualizzare la stessa scena in bianco e nero.
Di fatto è necessario imparare ad utilizzare una visione monocromatica. Qualcuno si aiuta con dei filtri ma in generale è una capacità di astrazione che va educata.

Guardare in bianco e nero una scena è un passaggio decisivo.
Anche perché è meno banale di quanto non si pensi: l’occhio umano può percepire una gamma di toni molti più ampia di quella che viene registrata da un sensore o una pellicola. Un uomo è in grado di capire che un foglio è bianco anche semplicemente guardandolo sotto il chiarore di qualche stella, oppure può capire che la parete di un edificio è bianca anche se è fortemente coperta dall’ombra: sembra che possiamo cogliere 1.000.000 di sfumature, che in termini di STOP di luce equivalgono a circa 20 valori (latitudine di posa di 20 stop). Una pellicola è molto meno sensibile: si parla di 1000 sfumature percepibili dalle migliori pellicole, il che equivale a circa 20 STOP di valori luce (latitudine di posa di 20 stop). Per i sensori digitali la sensibilità è ancora inferiore, ed in alcuni casi non si arriva a 7.
Questo comporta che guardare in bianco e nero significa convertire la nostra visione dell’immagine ad alta sensibilità, in una visione, oltre che monocromatica, a ridotta sensibilità.
E qui il Sistema Zonale ci aiuta.

E’ stata realizzata quella che molti chiamano la scala zonale:

Si tratta di uno strumento visivo che rappresenta undici tonalità di grigi, equivalenti ad undici valori di luce (o di luminosità): si va dalla Zona 0 (il nero profondo) alla Zona X (il bianco più acceso).
Nella Zona 0 si ha una riflessione di luce pari allo 0%, mentre nella Zona X la riflessione arriva al 100%.
Questa scala può essere divisa virtualmente in tre aree: le ombre a sinistra, i mezzitoni al centro e le alte luci a destra.
In generale, in ogni buona foto, è necessario trovare un buon equilibrio tra le luci e le ombre, equilibrio mediato dai mezzitoni: le ombre danno corpo e profondità, le luci danno vita ai soggetti, mentre i mezzi toni contribuiscono ad arricchire i soggetti con dettagli e morbidezza.

1000 Miglia - 2006 - DSC_1724Notate come questa scala è “discreta“: rappresenta infatti solo 11 valori di luce. In realtà tra il nero ed il bianco sarebbe possibile individuare un numero potenzialmente infinito di sfumature.

Ma questa scala è stata costruita affinché la differenza tra una zona e quella adiacente sia pari ad uno STOP di luce: cioè, in termini fotografici, la quantità di luce necessaria per passare da una zona all’altra è esattamente il doppio (oppure la metà). Come dire che per passare dalla Zona IV alla Zona V è necessario aprire il diaframma di uno stop, oppure raddoppiare i tempi di esposizione (legge di reciprocità).

In un mondo digitale, i valori delle 11 zone sono facilmente classificabili. In una rappresentazione RGB il nero equivale a [0,0,0] (o semplicemente 0), mentre un grigio medio equivale a [128,128,128] (o semplicemente 128) ed il bianco a [255,255,255] (o semplicemente 255).
Si vede come nel mondo digitale ci siano semplicemente 256 sfumature a rappresentare la scala Zonale, mettendo in evidenza anche i limiti intrinseci di questa tecnologia.


Zona 0 (NERO): il nero più profondo. Teoricamente il massimo ottenibile su carta. Sui moderni video retroilluminati non è di fatto visualizzabile anche se le informazioni dicono RGB=0. Sarebbe equivalente alla totale mancanza di luce, per cui è impossibile da ottenere sia su sensore che su pellicola, che saranno sempre impressionati da una pur minima quantità di luce. Spesso, l’unico modo per ottenerlo in digitale, è intervenire in post-produzione, realizzando quello che molti chiamano l’effetto buco nero: si sacrificano dettagli che generalmente sono quasi neri e li si fa diventare del tutto neri portandoli a RGB=0 (tecnicamente si opera su un taglio nell’istogramma o nelle curve, ma questa è un’altra storia). Analogamente sarebbe necessario operare in camera oscura per le pellicole. Discorso complicato per la stampa: quando avrete trovato un laboratorio in grado di stamparvi i neri veramente neri, non abbandonatelo!


Zona I (QUASI NERO): se non è affiancato alla Zona 0 è indistinguibile da essa. E’ la prima zona delle ombre realmente utile in fase di previsualizzazione. Qui cadranno presumibilmente le aree più scure della nostra immagine; i toni nella Zona I possono diventare utili per creare qualche interessante dettaglio in zone scure dell’immagine, evitando di far collassare intere aree della scena in piatte zone nere (o quasi nere) con l’effetto “buco nero” a cui è stato accenna prima. E’ una zona sottovalutata, ma la presenza di dettagli nelle ombre, seppur appena accennati, contribuisce alla ricchezza di una immagine.

clicca per ingrandire

Zona II (NERO MODELLATO): i toni nella Zona II sono sufficientemente scuri, ma sono anche in grado di conservare molte informazioni. Si parla di una riflessione di luce pari al 5%, ancora molto bassa: è possibile leggervi dettagli e textures, che possono essere sufficientemente leggili nelle aree più scure della Zona I e 0. Qui il nero non è profondo, ma modellato in forme che non solo si intuiscono, ma in alcuni casi si leggono. Le aree di luce riconducibili alla Zona II sono le prime che un buon esposimetro è in grado di rilevare con una adeguata precisione. E’ la prima zona per la quale una variazione di esposizione può produrre un sensibile cambiamento di tono.


Zona III (DETTALI NELLE OMBRE): tra le zone di ombra è la zona più importante: qui tutte le informazioni sono perfettamente registrate e leggibili: l’osservatore individuerà nettamente degli elementi, seppur non principali. E’ la zona dove nelle immagini low key andranno a finire le informazioni del soggetto principale. Questi toni, a loro tutela, andrebbero sempre verificati, in una immagine, anche con una opportuna misura esposimetrica.

ZONA IV (GRIGIO MEDIO SCURO): si tratta di una zona di transizione, ma in genere molto ricca di dettagli. Con questi toni si comincia a passare dalle ombre alle luci. Queste tonalità di grigi, da sole, non sono utili né a dare profondità né a dare vita alle immagini, ma sono fondamentali, insieme ai toni della Zona VI, per aggiungere una sensazione di migliore contrasto, di grande ricchezza di informazioni, di morbidezza nella transizione tra luce ed ombra.


ZONA V (GRIGIO MEDIO): siamo al centro della scala tonale. La Zona riflette il 18% di grigio. Tutti gli esposimetri sono calibrati su questo valore, ed infatti i famosi “cartoncini grigi” per l’esposizione sono fatti del grigio della Zona V. Per la vostra macchina sarebbe un successo scattare una foto con soli toni in Zona V, ed è questo il più grande problema degli esposimetri automatici!

ZONA VI (LEGGERO GRIGIO MEDIO): valgono le stesse considerazioni fatte per la zona IV: una zona di transizione dalle luci alle ombre, ricca di dettagli. Ha valore per come interagisce con le altre zone. I suoi toni possono essere utilizzati nella fotografia Hi key. Non solo: in genere corrisponde alla carnagione chiara nei ritratti. Il che equivale nella possibilità di misurare il palmo della mano al posto del cartoncino grigio (che è in zona V) e poi aprire di uno stop per ottenere una lettura esposimetrica valida.

clicca per ingrandire

ZONA VII (ALTE LUCI DETTAGLIATE): Qui c’è una riflessione del 72%. E’ la zona in cui i dettagli sono visibili nettamente, facendo apparire la foto morbida. Anche in questo caso la Zona VII è la preferita dei fotografi di immagini hi key: è infatti la più importante zona nell’area delle luci, riferimento per una opportuna lettura esposimetrica. Gli elementi che cadono in Zona VII sono quelli che attraggono l’occhio, che danno vita alla scena.

ZONA VIII (BIANCO MODELLATO): qui si trovano le informazioni più chiare della immagine. Seppur siamo in una zona di luce netta, si possono ancora leggerne tutti dettagli, anche se non appaiono marcati. E’ l’ultima zona per la quale una variazione di esposizione può ancora produrre un cambiamento di tono.

ZONA IX (QUASI BIANCO): in modo equivalente alla Zona I, è la zona più vicina al bianco ma che può essere considerata di fatto bianco: distinguibile solo se raffrontata alla Zona X. Qui cadranno presumibilmente le zone più chiare della nostra foto.

ZONA X (BIANCO): come per la Zona X questo valore di tono è virtualmente irragiungibile, soprattutto in fase di stampa (questo bianco dovrebbe riflettere più luce della carta stessa). Più facile ottenere un valore vicino al bianco con un buon monitor, opportunamente calibrato: in ogni caso i dettgli in questa zona sono indistinguibili.  Come per il nero profondo un bianco acceso potrebbe distrarre l’osservatore, dando una sensazione di vuoto. In RGB corrisponde al valore 255: purtroppo è un valore facile da ottenere nelle aree sovraesposte con una fotocamera digitale: i sensori, soprattutto quelli con una ridotta latitudine di posa, “bruciano” le aree nella luce appiattendole al valore 255. I dettagli delle aree catturate in Zona X sono irrimediabilmente perduti.

Oggi ci sono molti modi per valutare la distribuzione di ombre e luci in una nostra foto, sia in bianco e nero che  a colori. Lo strumento principe è l’istogramma.
Ne ho già parlato qui, ma riporto per completezza alcuni grafici.

Nell’asse orizzontale dell’istogramma sono riportati i 256 valori dei toni di luce. In particolare il grafico è diviso in 4 aree: a sinistra le ombre (Zone 0, I, II), al centro i mezzi toni (Zone III, IV, V  e poi le Zone VI, VII, VIII), a sinistra le luci (Zone IX, X, XI).
Il grafico mostra la quantità di area dell’immagine (tradotta come numero percentuale di pixel) che corrisponde al tono di luce (ed al tono di grigio corrispondente) in esame.

Negli esempi sono evidenziati in blu le ombre nelle Zone 0 ed I; in rosso le luci delle Zone X ed XI.

In linea puramente teorica un istogramma che rappresenti una foto piena di dettagli, morbida, che sfrutta tutta la latitudine di posa ed ha elementi in tutte le 11 Zone, dovrebbe essere un istogramma “pieno” ed “esteso”, senza salti bruschi o buchi o avvallamenti profondi.

Una immagine più scura (come la finestra del Castello di Roddi in alto) avrà la curva spostata sulla sinistra, mentre le aree bruciate nelle ombre (Zona 0) e nelle luci (Zona X) creeranno dei picchi agli estremi del grafico. Tutti i dettagli in Zona 0 e Zona X saranno illegibili.

Ogni immagine dovrà essere comunque valutata in funzione del risultato finale che si vuole ottenere, e giudicata perl’effetto percettivo, al di là di ogni tecnicismo.

Adesso che si conoscono le Zone Tonali, non rimane che capire come utilizzarle in fase di previsualizzazione.

Nel prossimo post sull’argomento.