Chi non è avvezzo all’uso di musica digitale, solitamente considera la qualità CD come una sorta di “punto di arrivo” o di qualità massima. Ebbene preparatevi per lo shock: non è così. A partire dagli anni ’90 abbiamo vissuto l’incubo della “compressione audio digitale” quindi ci hanno fatto vivere nel peggiore dei mondi (musicali) possibili: quel che è peggio è che chi è nato, musicalmente parlando, nell’era dell’MP3, non ne ha nemmeno la consapevolezza: hanno abituato le nostre orecchie a sentire della m3rd@ vendendocela per cioccolato.
Per fortuna che ci sono io a indicarvi la via.

Questo articolo è il secondo di un gruppo di tre post, dato che la prima stesura stava diventando troppo lunga per un singolo post. Se avete già letto il primo, e dopo aver letto questo post, potete passare al terzo.

Il peccato originale

L’inizio di tutti i mali è da ricercarsi nella diffusione dei dispositivi di riproduzione digitale, che come lupo in vesti di agnello hanno invaso i nostri mercati nella prima metà degli anni ’90; a quel tempo lo storage era molto più costoso di oggi, quindi non era pensabile avere dispositivi con GB di spazio disponibile: era necessario che ogni singola traccia audio non occupasse troppo spazio.

Prima ancora dei dispositivi digitali, l’avvento e la diffusione della rete Internet ha reso necessario contenere il più possibile la dimensione dei files da trasferire, dato che i transfer rate dell’epoca avrebbero richiesto un tempo insostenibile per il trasferimento (chi ha usato i vecchi modem a 56K sa di cosa sto parlando…).

Vennero quindi creati degli algoritmi di compressione audio digitale che, al costo della perdita di informazione (quindi: a scapito della qualità) permettevano di ridurre sensibilmente la dimensione dei files, rendendoli gestibili dalle connessioni Internet del tempo. Il più famoso di questi formati è l’Mp3: ne esistono altri (AAC, OGG, WMA…) ma l’Mp3 è quello che più si è affermato per diffusione e flessibilità d’uso.
Inventato dal Fraunhofer Institut alla fine degli anni ”80, l’algoritmo Mp3 consente di scegliere diversi livelli di compressione al fine di ridurre la dimensione del file, influenzando il bitrate finale: inizialmente era considerato “accettabile” un valore di 128Kbit/s, ma al crescere delle performances tanto delle connessioni Internet casalinghe quanto della potenza di calcolo dei computer casalinghi la frequenza usuale è salita a 192 poi 256 e fino a 320Kbs, che è il limite del protocollo Mp3.

Si noti bene che questi numeri di bitrate non vanno confusi con la frequenza di campionamento di cui ho parlato in altri articoli: qui rappresentano la “quantità di informazione al secondo” espressa rispetto al segnale digitale iniziale (un po’ come la portata d’acqua di un rubinetto), che ricordiamo a sua volta essere frutto di un campionamento. Parlerò nuovamente più avanti di bitrate. Rimanendo validi tutti i rapporti tra frequenza di campionamento iniziale e qualità del risultato, adesso si aggiunge tutto il degrado causato dall’algoritmo di compressione.

Effetti della compressione sul bitrate

Giusto per darvi un’idea del baratro in cui ci hanno gettati gli Mp3, ecco una tabella che confronta i bitrate dei formati moderni più diffusi per la compressione audio digitale (Nota bene: Kbps = 1024 bit per secondo mentre MB = 1024×1024 byte):

FORMATO

BITRATE

MB AL MINUTO

CD (PCM 16bit  44,1kHz)

1411 Kbps

10,54 MB

WAV 16/44,1

1411 Kbps

10,54 MB

Mp3 320

320 Kbps

2,4 MB

Mp3 192

192 Kbps

1,44 MB

DAT (PCM 16/48)

1536 Kbps

11,5 MB

FLAC 16/44

560-750 Kbps

5,68Mb

ALAC 16/44

757 Kbs

5,68 MB

FLAC 24/96

3100-3300 Kbps

23,25 MB

FLAC 24/192

5700-6700 Kbps

46 MB

FLAC 24/352

11000-12000 Kbps

82 MB

DSD (SACD: 24/88,1)

5764 Kbps

 

DSD 256

11300 Kbps

165 Mb

Si tenga presente che sui FLAC il bitrate non è costante poiché dipende dai parametri applicati in fase di codifica del file oltre che dal tipo di traccia musicale.

Confronto tra PCM e DSDPer il DSD (Direct Stream Digital), formato alternativo al PCM, si usano parametri differenti: si parla infatti di una sorta di “modulazione di frequenza”, il campionamento avviene ad 1 bit ma ad un multiplo di 64 volte la frequenza di campionamento dei CD, quindi 44,1Khz x 64 = 2,8224MHz; i formati DSD successivi sono ulteriori multipli, fino al più alto che attualmente (inizio 2020) è il DSD 512 quindi frequenza di 2,82MHz x 8 = 22,5792 MHz.

Secondo alcune fonti il campionamento ad 1 bit introduce distorsioni per cui il risultato qualitativo sarebbe inferiore a quello ottenuto tramite PCM. Le fonti sono state smentite, le smentite sono state contestate and so on. Noi comuni mortali aspettiamo con ansia il responso finale.

Campionamento digitale: è veramente lossless?

Il titolo è un po’ ad effetto, lo ammetto.

Chiariamo subito: come vi ho raccontato in un differente articolo, il teorema di Nyquist-Shannon ci garantisce matematicamente che il campionamento audio digitale eseguito con frequenza opportuna non produce perdita di dati, all’interno di un determinato range di frequenze. Il punto della questione è: quanto deve essere ampio questo range? Abbiamo detto anche che l’orecchio umano difficilmente può percepire frequenze superiori ai 18kHz (nel migliore dei casi) quindi di fatto decidiamo di buttare (cioè di perdere nel campionamento) le frequenze che non useremmo.

Compressione LOSSY o LOSSLESS

Arriviamo adesso al punto centrale della questione: se è vero (e ci sarebbe da discuterne, e lo faremo) che il formato PCM a 16bit/44.1kHz rappresenta il termine di paragone in cui è presente tutta l’informazione desiderata, un formato di compressione audio digitale “lossy” è quello che decide consapevolmente di perdere informazione a beneficio del peso. Esistono poi formati cosiddetti “lossless” in cui l’algoritmo di compressione riesce a fare la magia risparmiando spazio, a volte anche in maniera considerevole, ma senza perdita di informazione utile: ad esempio il formato FLAC o il formato ALAC (la versione proprietaria della Apple), che possono essere realizzati con diversi valori di risoluzione che nel caso del FLAC possono assumere valori molto alti.

Storicamente, per i file ALAC la limitazione era data non tanto dal protocollo quanto dalle caratteristiche hardware dei computer Apple su cui il formato è nato. Oggi questo limite mi risulta sia stato superato.

E’ veramente percepibile la differenza tra un brano in formato Mp3 320kps e lo stesso in formato CD? Beh, teoricamente la differenza è abissale. Di fatto nell’Mp3 manca tanta informazione. Ma per percepire la differenza sono necessari due elementi imprescindibili: (1) una filiera audio di qualità e (2) un orecchio addestrato.
Questo significa che nella maggioranza dei casi nella vita quotidiana, non sentireste la differenza tra un file in Mp3 o in un formato CD. Chiaramente stiamo parlando solo di file Mp3 ad almeno 256Kbps, altrimenti la differenza si sente facilmente anche senza un impianto audio di qualità.

Aspetta un momento

LETTORE: quindi fammi capire, mi sono fatto un mazzo così a leggere kilometri di storie, formati, campioni, punti e menate varie e ora te ne esci con un “non sentiresti la differenza”? MA VEDI DI ANDARE AFF

GORIM: aspetta mio caro lettore. Un po’ di pazienza. Il tuo disappunto è comprensibile, ma devi considerare che vale sempre la regola “se ti piace come si sente, si sente bene”; che poi è un principio legato alla psicoacustica. Però segui questo ragionamento:

Quindi adesso ti dico che un orecchio allenato, e con consapevolezza degli aspetti tecnici, percepisce la differenza: credimi sulla parola, e continua a leggere l’articolo: nella seconda parte vedremo concretamente cosa si intende per compressione audio digitale, e quali sono gli effetti sulla qualità del risultato.


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Quando uscirono i primi riproduttori di musica digitale, la Microsoft cercò di non perdere il treno presentando un prodotto che avrebbe rivoluzionato il mercato. Sappiamo tutti come è finita. In fondo lo Zune non era male, è rimasto nel cuore a molte persone (ma non abbastanza, a quanto pare).

Se per caso avete ancora uno Zune in un vecchio cassetto, prima di correre su Ebay per rivenderlo potreste voler sapere come si usa. Partite da questo libro.

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Praticamente il Robocop dei modem. Inaffondabile, ancora in vendita e ancora funzionante. Se volete provare l’ebrezza dei download “come una volta”, correte a comprarlo.

Battute a parte: oggi è ancora molto usato per mantenere in uso dei vecchi fax server tuttora validi ma altrimenti inutilizzabili (poi dai, fax nel 2020? Eppure si.)

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QUEI MERAVIGLIOSI ANNI ’80

Non è vero, io li odio. Sento “anni ’80” e inevitabilmente penso spalline capelli-cotonati Reaganismo Thriller-e-zombie musica-orribile abiti-di-cui-ci-pentiremo-e-infatti.

Se dovete andare ad una festa retrò, o se sentite il bisogno di vestirvi a tutti i costi come Goldrake, allora non fatevi sfuggire queste pratiche confezioni da 20 spalline. Me ne vado?

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“Uhm, non sa di tappo; oppure si? ma no dai lo capirei; beh insomma non ho mai leccato un tappo; forse dovrei; e se dico che è buono e poi fa schifo? attendono me; mi guardano con apprensione (forse è derisione). Ok incrociamo le dita”.

“Può versare, grazie”.

Ammettetelo, quante volte vi è capitato? A me regolarmente, infatti cerco sempre di rimbalzare il cameriere sugli altri. Però ad esempio ho imparato che nei vini buoni lo svaso inferiore è più profondo; che il vetro più spesso è considerato indice di buona qualità del vino; che dal colore si può intuire l’annata. Insomma, leggetelo e alla prossima cena fuori farete un figurone con gli amici (e non dovrete leccare un tappo).

 

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LE PAROLE DELL’ARTE

Libro perfetto per voi, se avete non più di 9 anni. Oppure se non avete studiato arte alle scuole superiori, ma volete comunque stupire quella rumorosa scolaresca che regolarmente vi intasa le sale alle mostre d’arte cui vi recate.

Maestri della pittura dal Medioevo in poi, che raccontano i loro quadri e spiegano con parole semplici gli aspetti che li hanno resi famosi nella storia dell’arte. Sono tutti scritti autentici, presi direttamente dai blog personali di Leonardo, Klimt, Caravaggio e Picasso.

 
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Perché per fare le cose seriamente, bisogna saperle fare. Non basta esercitarsi una volta ogni tanto. Non tutti hanno il ritmo nel sangue (e qui avere tanto ritmo aiuta). Oggi non c’è più spazio per l’improvvisazione, in nessun settore.

p.s. Avete notato che il nome dell’autore ha le iniziali minuscole? Cosa vorrà mai dire?

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