Ieri mi ha abbandonato il mio trolley.
Dopo anni di onorato servizio e migliaia di chilometri.
Se ne è andato, così, sulla soglia di casa, senza disturbare.
Ha perso le rotelline, senza preavviso, in silenzio.

Dopo un rapido commiato, lo porto nel cimitero dei trolley e mi avvio al negozio nuovo nuovo di quartiere.
Entro, mi guardo intorno perduto.
Chiedo ad un commesso: “ho bisogno di una valigia”.

Mi guarda come quello che entra in libreria e dice “mi serve un libro”: si aspettava il titolo, il sottotitolo, la casa editrice e l’anno. Ed io, ho chieso solo “una valigia”.

Non nasconde una espressione di disgusto e mi porta verso La Parete delle Valigie.
Il commesso, si vede, ha una missione: mi presenta le prime: grande, media, piccola, piccolissima.
Di tutti i colori. Mi sembrano i Barbapapà di mio figlio: papà, mamma, figlio, figlia e parenti vari.
Mi viene di salutarle: così, per educazione.

La piccola. Si, mi serve quella piccola.
Guardo il prezzo. Grande. Molto grande. Mi aspettavo piccolo. Più piccolo. Invece è grande
Tentenno.

La valigia è fatta di alluminioanodizzatoconmemoriadiformaspaziale. Se va sotto un carro armato torna come nuova. Non so perché ma la cosa non mi sembra un grande affare.

Allora c’è quella con l’assicurazione: se me la perdono, me la ripagano. Mah. Sarò io, ma anche questa non mi sembra un grande affare.

Guardo il fondo della parete, lontano. Se vale la regola del prezzo decrescente è là che devo arrivare.
E parto.
Il commesso mi abbaia dietro e mi insegue: “c’è pure quella con la ruotastroboscopicapiroettante”.
Non mi fermo. Arrivo in fondo.
E le vedo. Ne individuo due. In confronto alle altre dalla parte opposta mi sembrano delle scatole di cartone.

Una 12,50 euro. Nera. L’altra 13,50 euro. Nera pure quella.
Le soppeso. Le guardo. Devo scegliere. Il commesso è diventato rumore di fondo ormai. Sono concentrato.
E poi chiedo: “che differenza c’è?”

Mi guarda, lui. Devo sembrargli proprio strano.
Si aggiusta la casacca verde tipo Anas (devono avere spesso la nebbia fitta in negozio, penso io).
Scandisce bene, non vuole ripetere, deve essere sicuro che io capisca: “su quella c’è la Bussola”.

“La Bussola”
“La Bussola”

E già mi immagino nella foresta tropicale in compagnia del mio nuovo trolley. Quello con “La Bussola”

Ma dov’è, ‘sta bussola?
Guardo. Riguardo. Non la vedo.
Poi la vedo.

Incastonata come un bottoncino minuscolo in cima al manico estraibile. Quello che in genere stringi sempre in mano per trascinare il trolley.

Mi avvicino.
La scuoto: l’ago si muove.
Si ferma in una posizione diversa da quella da dove è partito. Sarà una bussola speciale, dico io. Come quella del film. Quella tutta d’oro. Che ti toglie dai guai quando serve.

“lei che dice, quale mi consiglia?” (lo so, non ho resistito).
“Quella con La Bussola”.
E certo. Ci avrei giurato.

Oggi ero in treno e mi guardavo intorno.
C’era un signore distinto, con il suo trolley distinto.
Anche il suo aveva La Bussola.
Sono felice: sono entrato in una nuova grande famiglia.