Se ci fate caso i post con il tag lomography stanno aumentando.
E ce ne sono altrettanti in programmazione per il prossimo futuro.
E forse inauguro una sezione ad hoc, per darne maggiore enfasi.
Pensa te.

Cosa sta succedendo?

Wolfgang Stranzinger (foto LOMO)

Non è una domanda banale, visto che anche a me non è ben chiaro.

Ho speso migliaia di euro per una attrezzatura fotografica moderna e professionale (meglio non pensarci, anche se la spesa è stata diluita negli anni).
E adesso vado in giro con (alcune) macchinette da 30 euro, spesso usate, spesso guaste, e spendo centinaia di euro per sviluppare foto che nella migliore delle ipotesi sono appena leggibili.

Sto impazzendo.

Matthias Fiegl, da qui

Forse no, ma credo di capire cosa avessero provato Matthias Fiegl e Wolfgang Stranzinger, due studenti austriaci, quando nel 1991, dopo la caduta del muro di Berlino, in giro per l’Est, videro i risultati dei propri scatti realizzati con alcune macchine fotografiche 35mm trovate a Praga in un mercatino delle pulci: le foto erano a dir poco strane, eccessive, con colori contrastati, saturi, bordi a volte nitidi e a volte indefiniti e con un caratteristico effetto vignettatura.

Queste macchine erano marchiate LOMO, acronimo di Leningradskoe Optiko-Mechaničeskoe Ob”edinenie, una fabbrica di armi e di ottica di San Pietroburgo, URSS.

Sono macchinette di plastica (a volte ferro), molto economiche, pensate per un mercato povero e poco esigente come quello russo o quello cinese: il segreto di queste immagini quasi oniriche sta nella lente, di plastica (oggi a volte di vetro), progettata negli anni ottanta (si dice) per le missioni di spionaggio degli agenti del KGB.

Una nuova LOMO LC-A+

Tornati dalla gita all’Est, Matthias e Wolfgang hanno cominciato a rifornire i loro amici (e gli amici dei loro amici) di queste macchinette; nel 1994 organizzano una esposizione contemporanea a New York e Mosca; nel 1996 firmano un accordo con il sindaco di San Pietroburgo Vladimir Putin (guarda un po’) per assicurarsi la distribuzione esclusiva della macchinetta Lomo Compact Automat (Lc-a). Fondano così la la Società Lomografica Austriaca, poi diventata la Lomographic International Society (e loro sono diventati ricchi e famosi).

I numeri in gioco sono impressionanti: l’azienda vende oltre 500.000 macchine all’anno (dati non ufficiali), per non contare accessori, borse, pellicole, e gadget vari. Gli appassionati sono milioni nel mondo, perfettamente organizzati in community: basta fare una semplice ricerca su Internet e su Flickr per affacciarsi in un mondo colorato e affollato.

LOMO è ormai un fenomeno di massa. Un marchio diventato cult.
Ed è, ovviamente, fortemente analogico.

da qui

Non solo, quelli della lomography hanno 10 semplici regole (le 10 regole d’oro):

  1. Porta la tua lomo ovunque tu vada
  2. Usala sempre di giorno e di notte
  3. La lomografia non è un’interferenza nella tua vita ma ne è parte integrante
  4. Scatta senza guardare nel mirino
  5. Avvicinati più che puoi
  6. Non pensare
  7. Sii veloce
  8. Non preoccuparti in anticipo di quello che verrà impresso
  9. Non preoccuparti neppure dopo
  10. Non ti preoccupare di queste regole

Una provocazione?
Non direi: più facile uno stile di vita.

E’ normale che questa cosa, visto anche il successo, abbia portato un po’ di subbuglio nel mondo della fotografia tradizionale.
Ma andiamo con ordine.

da qui

Intanto è da sfatare un mito: oggi le macchine prodotte dalla LOMO sono di vario genere e certamente alcune di esse hanno impostazioni manuali tali da escludere la regola N.6 , la più controversa (penso soltanto alla biottica Lubitel): non pensare, scatta!

Non capisco nemmeno perchè la lomografia debba necessariamente essere messa in contrapposizione con il “pensa e scatta“: ho sempre avuto una reflex professionale tra le mani: l’ultima digitale ha oltre 20 pulsanti sul suo dorso, per non parlare delle funzioni nel menu.

A volte, in effetti, vorrei proprio non pensare e godermi soltanto il momento dello scatto, e magari nemmeno inquadrare; e vivere soprattutto la curiosità e la sorpresa di vedere uno scatto solo dopo il processo di sviluppo.
Allora qualcuno, puntualmente, tira fuori il tema della previsualizzazione, di cui per altro sono un sostenitore: io però di fotografi che sanno veramente previsualizzare ne conosco pochi, e sono sicuro che anche i migliori devono sempre guardare il loro fidato display digitale per capire cosa hanno in effetti realizzato dopo uno scatto pensato.

I nodi della accese discussioni sul tema lomografia ruotano perciò quasi sempre intorno al fatto che per molti, banalmente, la totale responsabilità dell’immagine prodotta da una LOMO, è solo della LOMO; e si crucciano per il fatto che il fotografo sembra essere totalmente escluso da ogni merito (o demerito).
Basta aprire un qualsiasi forum a tema per farsi un’idea.

da qui

Ma siamo sicuri?
Il fatto di non controllare la resa cromatica, la luce, le varie aberrazioni è sufficiente per dire che la foto non è del fotografo?
Ho messo in mano la mia Holga, o la mia Supersampler a molti amici fotografi, e vi assicuro che è facilmente distinguibile la mano (e l’occhio) di chi ha uno spirito aperto e creativo, pronto a sperimentare.

Perché è sperimentazione la parola che secondo me fa rima con LOMO. Mischiare gli accessori, usare il flash colorato in modo non convenzionale, mettere a fuoco in modo casuale, scattare in movimento o in condizioni di luce strane, azzardare le pellicole, svilupparle dimenticando le buone regole!
Il caso: certo è un compagno di giochi determinante, ma che problema c’è.

Come se non bastasse poi qualcun’altro tira fuori anche la parola ARTE: la lomografia, sostengono, non può essere arte perché non prevede una partecipazione dell’artista.
Io non so se chi usa la LOMO aspiri a fare arte.Certo non basta avere tra le mani una reflex.
Già il fatto di sentire da qualcuno “faccio arte” mi manda la mosca al naso: non si decide se qualcosa è arte a tavolino, nè può farlo il fotografo con le sue foto.
L’argomento è irrilevante. Archiviato.

da qui

Insomma, il terreno è fertile per alimentare molte sterili polemiche.
La lomografia è un modo diverso, libero, di scattare e produrre una immagine, per altro ricca di forti elementi onirici, per cui molto affascinante.

In realtà a me sembra che le 10 regole siano un cammino verso una sorta di liberazione.
Oggi più che mai in un mondo digitale appensatito da forti postelaborazioni.
Una sorta di controcultura analogica.

Mi sembra che una LOMO tra le mani sia uno strumento comunque creativo, foriero di grandi soddisfazioni e soprattutto molto molto divertente.

Non esistono due LOMO uguali in commercio: le loro imperfezioni le rendono uniche: infiltrazioni di luce, lenti rovinate (mai identiche anche se nuove) e pellicole scadute permettono di realizzare immagini uniche nel vero senso della parola.
Impossibile ripetere due volte lo stesso scatto!
E allora godetevi una immagine unica, prodotta senza sforzo!!

Siamo quasi alla fine: già mi vedo i commenti in cui leggo che gli effetti di una LOMO si possono facilmente ottenere con banali filtri digitali. Certo, ma quella non è lomografia: avete infranto in un colpo solo le dieci regole d’oro.

Ma allora la lomografia si può fare anche con camere non LOMO?
Certo.
La lomografia sono le 10 regole, ed io, personalmente, la faccio anche con gli ultimi ritrovati digitali: ma questa è un’altra storia!