Torna l’angolo della citazione su CCW.
Giusto per intrudurre questo grande fotografo leggete queste due citazioni.

“The first picture of his I ever saw was during a lecture at the Rhyl camera club. I was 16 and the speaker was Emrys Jones. He projected the picture upside down. Deliberately, to disregard the subject matter to reveal the composition. It’s a lesson I’ve never forgotten” [Philip Jones Griffiths parlando del suo idolo, e successivamente collega, Henri Cartier-Bresson]

“Not since Goya has anyone portrayed war like Philip Jones Griffiths” [Henri Cartier-Bresson]

Philip Jones Griffiths è stato un fotografo freelance attivo negli anni ’60. Le sue immagini della guerra del Vietnam (che all’epoca non erano molto gradite dal pubblico americano) hanno cambiato radicalmente la percezione della guerra, perchè orientate verso i drammi e le sofferenze del popolo Vietnamita.

«La vita era così noiosa dove vivevo: poi tutto, tutto ciò che vale, si fa con la passione. A 16 anni lessi su un giornale un’intervista a Robert Capa che parlava della Magnum: ricordo che m’entusiasmai perché diceva che l’agenzia si occupava anche della sua biancheria. La Magnum era un gruppo umanistico, con un’etica che affascinava un giovane comunista come me. Per entrare alla Magnum non basta fare belle foto, è la testa che conta»

«Tutti i media erano a favore della guerra, volevo far conoscere questo popolo di cui gli americani non sapevano nulla e che non capivano. E infatti la guerra lo ha dimostrato, i vietnamiti furono più intelligenti, studiavano il nemico giorno e notte: d’altra parte cosa diamine fai ad Hanoi tutto l’inverno? Capirono dell’America più di quanto capirono gli Americani stessi, li fecero vincere per due anni interi e poi, nel momento psicologicamente perfetto, quando gli americani pensavano che era finita, nel ’68 attaccarono l’Ambasciata. Io ero giovane, m’interessavano i meccanismi del potere, ma capii che o lavoravo come Tim Page, dell’Associated Press, con la speranza giorno per giorno che la tua foto finisse in prima pagina, o dovevo raccogliere pezzi, lentamente. Così raccontai la mia storia: l’attacco della potenza più tecnologica del mondo contro la popolazione più semplice del mondo. Quando il librò usci, non mi fu più permesso di tornare in Vietnam fino al ‘76»

Quando Philip Jones Griffiths fu finalmente in grado di ottenere uno scoop (la foto di Jackie Kennedy in vacanza con un amico in Cambogia) spese tutti i sogni guadagnati per tornare in Vietnam e continuare il suo lavoro di reportage.

«Ad ogni singolo scatto. Sapevo che ero lì per i posteri. C’erano giorni in cui dovevo scegliere tra mangiare un piatto di riso e comprare un rullino. L’acqua con cui sviluppavo le foto era più pura di quella che bevevo. Non pensavo che ai negativi. Il difficile era capire come persuadere gli altri. Si può farlo in due modi: o scioccandoli, ma rischi di disgustarli, o accendendo la loro umanità. Ho sempre cercato il lato caustico della vita, in cui c’è l’orrore ma anche l’umanità. Ovviamente fotografavo gli attacchi, l’azione della guerra, ma erano le incongruenze che m’interessavano: il cecchino che s’annoiava alla finestra, il vietnamita che fa il bagno in un cratere lasciato da una bomba, il soldato che punta il fucile alla testa di un ragazzino di sei anni e poi gli dà un piatto di riso e una pacca sulla spalla»

«La guerra fu vinta da entrambe le parti. I vietnamiti hanno riportato la vittoria politica, gli altri hanno fatto Apocalypse Now […] era un bellissimo film.Coppola ha saputo cogliere perfettamente quel senso di follia che aveva invaso le truppe. La scena in cui Robert Duvall dà da bere ad un uomo che si tiene le budella colle mani è tratta da una mia foto, le battute sono prese dalla didascalia del libro. Dalla Magnum chiamarono Coppola chiedendo i diritti, era una specie di plagio. “Fatemi causa” rispose Coppola, e mise giù la cornetta»

«In guerra la verità emerge. Tesa tra la vita e la morte la gente si rivela, getta la maschera, e si mostra con un’onestà che non c’è altrove nella vita».

tratto dall’intervista di CARLOTTA MISMETTI CAPUA