Oggi ho letto un articoletto di Maurizio Ferraris su Wired che mi ha fattoriflettere (complice un ritardo del treno di 2 ore su un viaggio di 37 minuti).
Cosa spinge a scrivere un blog? Oppure, ancora piùfacile, un tweet o un cambio di stato su Facebook? Le motivazioni possonoessere ovviamente tante, e tutte personali.
Ed in genere hanno tutte a che fare con la vanità.
Ed in genere hanno tutte a che fare con la vanità.
Ma c’è una questione semplice, che spesso cerchiamo diignorare: la necessità di superare la vergogna.
Avreste mai deciso di tappezzare la vostra città dimanifesti per dire a tutti (ma proprio a tutti, anche a quelli che non viconoscono) cosa avete mangiato a cena la sera prima?
Lasciamo stare il fatto che probabilmente l’argomento non èpoi di grande interesse collettivo, ma se c’era un motivo per non investire neimanifesti, poteva essere la vergogna.
Non ho mai visto qualcuno fare volantinaggio per far saperea tutti che lui all’ultimo esame ha preso un 22. O anche 30.
Non ho mi visto qualcuno che prende le pagine bianche etelefona a tutti dicendo che ha trascorso il pomeriggio ad ascoltare gli U2.
E’ possibile che la facilità con cui oggi si può comunicare ha abbattuto il concetto di vergogna, che potrebbe essere di certo un ottimofiltro: magari uno può spingersi a scrivere un post in un blog solo se haqualcosa da dire che possa interessare oggettivamente una comunità, piccola ogrande. Se ha qualcosa da aggiungere, qualcosa di nuovo. Purtroppo spesso è impossibile avere la percezione che si sta facendo una cosa inutile.
Certo che se poi c’è di mezzo la vanità, la vergogna fa fatica a venire a galla a fare da filtro.
E qui scatta una specie di senso di colpa, e la ricerca diuna giustificazione: il mio blog è rimasto aperto su invito per mesi. Pervergogna.
Anche per il fatto che raccoglieva materiale didattico (così mi hannodetto) sulla fotografia (a volte non tutto mio), che quindi sceglievo disnocciolare a necessità e con attento controllo.
Anche per il fatto che raccoglieva materiale didattico (così mi hannodetto) sulla fotografia (a volte non tutto mio), che quindi sceglievo disnocciolare a necessità e con attento controllo.
Poi scopro che il processo di scrittura, lo sforzo di fissareun pensiero, mi è utile al di là dell’interesse collettivo: è un processo discarica. L’analisi che cerco di fare intorno ad una idea è liberatorio. Così lometto nel blog. E qualcuno lo legge. Impossibile dire che gradisce, ma per il momento non mi importa.
Non lo metto su un social network qualsiasi: lì mi sembra di essere in piazza,allora mi illudo di farlo nel salotto buono di casa mia. Nel mio blog che portail mio nome nell’url. Dove i post li devi proprio andare a cercare.
Non lo metto su un social network qualsiasi: lì mi sembra di essere in piazza,allora mi illudo di farlo nel salotto buono di casa mia. Nel mio blog che portail mio nome nell’url. Dove i post li devi proprio andare a cercare.
Il risultato è che così raggiungo meno gente: sicuramentemeno gente che conosco. Forse un barlume di vergogna arde ancora.
Ma sarà vero? Se l’utilità di poter scrivere qualcosa ècircoscritta a me, perché allora ho aperto il blog e non contento lo popolo dipost che una volta completati perdono di interesse anche per me?
Forse perché ho visto che lo fanno in tanti. Forse perché,in fondo, ho mandato all’aria lavergogna ed il pudore. Forse perché oggi la necessità di condivisione è troppoforte. Forse perché cerco contatti e consensi. Forse perché è da una vita chesono su Internet.
Forse perché, se uno mai ha avuto il diario segreto, inconsciamente ha sempre sperato che qualcuno lo leggesse. Roba da adolescenti, ma il senso è quello.
Allora mi nasce una preoccupazione: questo processo èirreversibile? Arriverò a cambiare lo stato su Facebook che con orgoglio èrimasto vergine per questi anni? Magari scrivendo che “ho sonno” oppure “sonoarrabbiato”, sperando che poi qualcuno approfondisca? Arriverò a sparlare dialtri, indebitamente? Io spero di no. Per me è un’altra cosa, ben diversa. E’ un confine da non varcare. Lo spero.
E spero che qualcuno mi dia una mano a convincermi, se sarànecessario, che poi del mio blog non è che se ne senta la mancanza. E spero chequalcuno sia abbastanza sincero da dirmi che alcune riflessioni forse era ilcaso me le tenessi per me. Ma magari si vergognano.
C’è sempre la speranza che mi confonda nel rumore di fondodella rete. Ma sono consapevole che una volta buttato il sasso nello stagno, quelsasso non torna a galla, e il mio materiale girovagherà per sempre nella rete.
Ma poi, in fondo, un po’ mi diverto… quindi per il momento,mi sa, che continuo.