Io non credo nei segni.
E odio gli oroscopi.
Esalto la dedizione, la determinazione, l’entusiasmo ed il rispetto altrui come motori per costruire il proprio destino.
Salvo poi scoprirmi eccessivamente fatalista, soprattutto rispetto a temi come la malattia, la morte ed i sentimenti forti in genere.
Ma ci sono delle giornate a cui bisogna dare ascolto.
Ci sono delle giornate che partono in modo diverso, che aprono, almeno temporaneamente, uno squarcio in quella presunta sicurezza di sè che oggi è necessaria per sopravvivere.
E che, almeno per quel giorno, ti fanno sentire diverso.
Come oggi.
Ore 7:30. Alba. Fermata del 22.
Come tutte le mattine. Estraneo tra estranei.
Aspetto la mia corsa per andare fino alla stazione ferroviaria.
Mi guardo intorno distrattamente, e solo dopo mi accorgo che una signora è stesa per terra. Una ragazza le tiene la mano.
Guardo gli altri intorno a me. Sembrava tutto normale, ma lì c’è una signora a terra che non da segni di vita.
E’ fiocamente illuminata dalle luci di Natale che sono state dimenticate accese sugli alberi.
Il proprietario del bar di fronte si fa avanti dicendo che l’ambulanza è in arrivo.
Non faccio in tempo a rendermi conto della situazione che due lampeggianti blu fanno capolino dal fondo della strada.
Un signore si pianta in mezzo alla carreggiata e fa cenni all’autista, che parcheggia velocemente sul marciapiede.
Scendono tre ragazzi, ed in meno di un attimo sono intorno alla signora.
Scaricano macchinari vari e bombole di ossigeno.
La spogliano.
Una ragazza le fa un energico massaggio cardiaco; un ragazzo, il medico evidentemente, da ordini su miscele da iniettare e mascherine da attrezzare.
Il tempo è rallentato. Ho pensieri confusi.
Non è la prima scena del genere che mi capita di vedere, ma oggi c’è qualcosa di diverso nell’aria.
La gente che si era fatta avanti per curiosare piano piano arretra.
Ecco cos’è: il silenzio. C’è troppo silenzio.
Alzo lo sguardo: una ragazzina che era accanto a me in attesa dell’autobus sta piangendo.
Cerco di leggere nei volti dei sanitari qualche informazione, ma sono impassibili: l’infermiera si ostina a massaggiare la signora, che però rimane inerme. Ormai tutta l’attrezzatura è pronta ed il defibrillatore acceso.
Arriva il 22. Salgo a bordo. E con me tutti gli altri.
Lasciamo quella signora nelle mani del medico, e speriamo che si salvi.
L’autobus è lontano e si sta piano piano riempiendo: la ragazzina si asciuga le lacrime, che non sta bene.
Mi siedo.
Ho pensieri sovrapposti: prima la calma apparente poi l’azione concitata dei sanitari, i volti della gente intorno, i ragazzi dell’ambulanza così giovani, la determinazione dell’infermiera, il silenzio quasi forma di rispetto, l’attesa, il ritorno ad una specie di normalità su un autobus affollato.
Sarà normale. Non so.
Penso per un attimo che non ho visto in viso la signora: magari era giovane. Magari aveva un marito, dei figli. Chissà che programmi avesse per la giornata.
Banalità. Mi sarò scordato della signora entro l’ora di pranzo. Purtroppo.
Per un attimo sono distolto dai miei pensieri: sale un distinto signore e si siede davanti a me.
L’ho già visto. Pendolare come me.
Si toglie gli occhiali e chiude gli occhi.
Li tiene chiusi a lungo. Forse pensa, è concentrato.
Apre lo zaino: quello che tiene in mano mi sembra un libro di preghiere.
Lo incontro spesso, ma forse non l’ho mai guardato con attenzione. Forse non guardo nessuno con attenzione, estraneo tra estranei.
Sta pregando.
Si mette una mano sul cuore, con un gesto lento e discreto. La tiene lì per pochi secondi.
Gli occhi ancora chiusi. Gli occhiali in mano.
Mi guardo intorno.
Siamo quasi arrivati.
I suoi gesti sono ignorati da tutti.
Ma sono discreti, quasi rispettosi.
Deve essere il suo piccolo rituale mattutino.
Forse un buon modo di cominciare una nuova giornata.
Mi sembra di essere io, quello fuori luogo.
Io non prego mai. Non ci riesco.
Così mi piace pensare che una sua preghiera, una qualsiasi, possa andare alla signora stesa sul marciapiede qualche fermata prima.
(Ho voluto documentare la cosa: dovrò ricordarmi di questa giornata.
Le foto sono state volutamente “confuse”. Ma nella mia mente sono nitidissime.
E poi non venitemi a dire che qualche volta, i segni, bisogna stare ad ascoltarli.)
la scoperta del tuo blog e dei tuoi pensieri è una carezza nella mia anima. grazie di condividere:)giulia berardi