Estratto della lettera di George Rodger al figlio Jonathan.

Una bella lezione di fotografia.

15 luglio 1970

Mio caro Jonathan,

(…) E’ alquanto difficile rispondere alle domande che mi poni, ma farò del mio meglio e se non comprenderai subito, ciò accadrà un poco più tardi. (…) Tu chiedi: – Che cosa devo fare per diventare un fotografo come te? – Se tu non avessi aggiunto quel “come te” in fondo alla frase, la risposta sarebbe stata per me molto più semplice. Come si può spiegare qualcosa di non tecnico, di non tangibile e che viene da dentro?

(…)Naturalmente, quando si è davvero all’inizio, bisogna imparare qualche regoletta tecnica. Lo devi fare, se vorrai esprimerti esteticamente attraverso mezzi e strumenti puramente meccanici (il fuoco, il diaframma, la velocità, etc. etc.). Ma questi dovranno diventare in fretta dei riflessi condizionati e poi dimenticati. Essi dovranno diventare per te istintivi come l’aprire la bocca per mordere una mela.

Poi, una volta stabilito questo automatismo, potrai concentrarti su quello che vedi nel mirino perché è attraverso il mirino che tu stabilisci il legame tra la realtà e la tua interpretazione di esso. Ricordalo. Qualunque cosa tu vedi sul vetro smerigliato della tua Rolleiflex è realtà.

La fotografia è ciò che tu fai di essa. Ciò che vedi nel mirino può essere brutto. Il tuo cuore può resistere appena all’orrore di ciò che vedi o i tuoi occhi annebbiarsi per la pietà e per la vergogna. Ma è tutta realtà e tu devi sapere cosa farne. Credo che nessuno saprebbe consigliarti come imparare ad usare la realtà, tranne dicendoti di essere sempre onesto verso te stesso, ma ciò è piuttosto vago. Certamente non puoi interpretare ciò che vedi nel tuo mirino e non puoi farne una buona fotografia, senza averlo prima compreso. Devi riuscire a provare una certa affinità con quello che stai fotografando; devi essere una parte di esso e nello stesso tempo restarne sufficientemente distaccato per poterlo vedere obiettivamente.

(…)Sfortunatamente non c’è nessuna formula per questo tipo di “partecipazione”. E’ qualcosa che viene dall’interno. Ma puoi esercitarti in questa direzione. Dipende molto dalla tua propria personale conoscenza del mondo e dalla tua abilità a percepire ed accettare come l’altra gente ci vive. (…) Qualcuno ha detto che maggiori saranno le tue difficoltà, migliore sarai te stesso.

Hai mai osservato un camaleonte? E’ una specie di lucertola che cambia i suoi colori accordandoli a quelli dell’ambiente: è verde nell’erba, marrone su un tronco, rosso pallido sulla latterite. E’ un metodo molto utile che potresti cercare di imitare. Non intendo dire che dovresti diventare color caffè nel Vizagatapam o completamente nero nel Bangassu, ma voglio dire che dovresti trovare quella certa attitudine per non apparire bianco in nessuno dei due posti. Ogni nazione, razza o tribù ha la sua morale, il suo orgoglio e la sua dignità, le sue regole e le sue abitudini e molto differenti le une dalle altre.E tu devi accettare queste cose e più le conosci e meglio è. Sviluppa il tuo metodo di camaleonte fino a saperti mescolare in tutti gli ambienti e sentirti veramente a casa tua sia nella capanna di un beduino che a palazzo reale.(…)

E ovunque ti trovi, evita i trucchi. Una buona fotografia è basata sulla verità e sull’integrità.

Il trucco è solo un mezzo da poveri uomini per giustificare la loro mancanza di talento, la loro incapacità a comporre una foto senza artifici.

Fa che la composizione della tua immagine sia onesta, pura, forte e ben definita. E’ una questione di disegno e meno complicato esso è, più piacevole risulterà all’occhio.
(…)

Tuo affezionatissimo padre.