Chi l’ha detto che la routine è una brutta cosa?
Mi sveglio la mattina che è ancora buio.
Devo fare piano, gli altri dormono.
Mi muovo per casa a memoria.
Sono in funzione solo 3 neuroni, di cui due impegnati a tenermi in piedi e ad evitare gli spigoli.
Esco.
Infilo gli occhiali da sole, anche se rischio di sbattere nei pali lungo il marciapiede.
Ed inforco le cuffie. Accendo l’iPod: che decida pure lui cosa mandarmi nelle orecchie. Non importa cosa, purché sia a basso volume: non voglio mica svegliarmi.
Con le mani in tasca, gioco con le monete contate che mi serviranno a breve.
Il tipo del bar davanti alla fermata dell’autobus mi infila sotto il braccio un sacchetto con un cornetto vuoto.
Nemmeno lui si sforza di salutarmi.
Sono fortunato. E’ l’unico barista al mondo che non parla mai.
A volta, in preda a qualche dubbio, gli sento chiedere:
– il solito?
Al che mi tocca fare un cenno della testa: e l’unico neurone libero si lamenta a gran voce.
Salgo sul 22, cercando un posto a sedere. Facile, vista l’ora.
I miei occhiali scuri tengono lontani le sempre presenti loquaci signore.
Almeno quelle.
Ma da poche settimane ho raggiunto il karma. E’ stato un lavoro lungo e meticoloso.
Entro da McDonald’s per un cappuccino.
Lì adesso fanno l’espresso, non ti danno mica solo quella broda lunga e sporca.
Becco gli addetto sempre in cima ad una scala che tolgono i cartelloni del BigMac e ci mettono quelli per la colazione americana, con le uova ed il bacon tondi proprio come un cheesburger.
Sanno fare un buon cappuccino, e te lo servono in un bicchierone con il tappo a prova di ustioni e di terremoto.
Mi basta un cenno: cappuccino liscio, senza zucchero, senza panna e senza stecchino.
Adesso non mi danno nemmeno il tovagliolino, che mi impiccia.
Qui ringrazio con un cenno, come per dire:
– Mi raccomando, domani torno. Non dimenticate la mia faccia.
Salgo in treno consapevole che la giornata è iniziata nel modo giusto.
Ora non mi resta che trovare un posto isolato per bermi in santa pace il mio cappuccino.