E’ stato un desiderio di mia moglie.
Negli ultimi quindici anni ho sfiorato questa cosa molte volte.
Non è che ne fossi entusiasta, più per il caos annunciato, che per altro: per cui ho sempre svicolato.
Ma ieri no.
Ieri ci sono andato.
Al concerto di Vasco Rossi.
Complice il fatto che era al coperto.
Per poche (migliaia) di intimi.
Così molliamo il piccolo alla suocera, insieme al libretto di istruzioni.
E si va, in moto, sotto la pioggia, con un panino ed una bottiglietta nello zaino: per la serie se non lo fai a 20 anni, allora hai sempre tempo di farlo a 40.
L’ingresso è blindato.
La polizia mi fa levare i tappi dalle bottiglie: ma nemmeno mi guardano.
Gli bastano i tappi: forse li raccolgono per quella bufala della sedia a rotelle, chissà.
Nello zaino potrei avere di tutto: ma i tappi, quelli, proprio non possono passare. Mi toccherà tenere in mano le bottigliette come reliquie per tutta la serata.
E si entra nel palasport. Parterre. In mezzo ai fan quelli veri.
E così è questo il popolo di Vasco.
Vanno in giro con i suoi occhiali ed il suo cappellino. Le sciarpe. Le bandane. Le magliette.
E le pancette sotto la maglietta nera. Ed i capelli bianchi. Ma anche le fedi al dito.
Qualcuno si è portato i figli.
Ci sono anche alcune donne in gravidanza: certo che il piccolo avrà da divertirsi, stasera.
E così è questo il popolo di Vasco.
Il concerto dovrebbe iniziare alle 9:00.
Ci portiamo vicino al palco, per dargli un occhio da vicino.
Magari poi, se c’è troppo casino, ci allontaniamo un po’.
Qui, qualcuno più giovane c’è. E forse quello accanto è il papà. O forse no.
Sono proprio tanti.
Alle 9:01 parte la musica. Puntuale.
Mi tocca mettere a posto l’orologio, e portarlo indietro di un minuto.
Preciso, Vasco. Bene.
Esce sul palco. Lui e la band.
Spara tre canzoni di fila senza respirare.
I fan cantano in modo ordinato: devono ancora scaldarsi, ma è questione di poco
Adesso mi spiego le pancette di prima. La sua è in bella mostra. Ed anche i suoi capelli bianchi.
Ma quanti anni ha, oggi, il Vasco? Cinquantotto.
Prende respiro. Saluta. E ricanta.
Si vede che si diverte.
Il palco è il suo habitat. Si muove come nel soggiorno di casa sua.
Cinquanttotto. Non sembra.
Passeggia su e giù. Da un occhio qui e lì. Gesticola. Fa i versi. Si diverte. Sembra la sua caricatura, ma in senso buono. Biascica qualcosa in emiliano. Si sente proprio a suo agio.
Io le ultime canzoni non le conosco. Mi sono un po’ perso.
Ma ogni tanto ne tira fuori una delle sue, di quelle belle. E lì l’energia monta.
La sua e quella dei fan.
La gente salta e canta. Non un spintone. Uno mi chiede permesso gentilmente e si infila con tre boccali di birra nella mischia.
Uno mi sfiora nell’impeto di un ritornello: mi chiede scusa, sorridendo.
Un altro vuole fare una foto, ed allora gli reggo lo zaino.
Vedo poche sigarette, fumate di soppiatto, che non sta bene.
E così è questo il popolo di Vasco.
Mi prendo un minuto. Do uno sguardo al palco. Niente fronzoli. Evidentemente il Vasco non ne ha bisogno. E si capisce perché.
Bello il gioco di luci. Sembra tutto molto semplice, ma dietro c’è grande attenzione. E tanta tecnologia.
Poi lui sparisce.
Parte la chitarra acustica di Maurizio Solieri. Si sa lui è bravo. Bella fortuna: è lì, ad un passo: posso vedere le sue mani sulla chitarra.
Poi entrano piano piano, ad uno ad uno, tutti gli altri musicisti. Per una presentazione.
Bravo il batterista.
Ed il bassista, il Gallo, che ha sconfitto il cancro e si è tinto i capelli di giallo.
Il tastierista.
E la bella corista, che meriterebbe di farsi sentire di più (ma ha fatto un disco da cantautrice).
Ma chi è quel chitarrista? Cavolo, se è bravo. E’ proprio bravo. I giochi di luce dicono Stef Burns. Me lo devo segnare, che poi cerco su Google. I suoi assoli infuocano il palasport. Un vero talento.
Non è solo Vasco. E’ anche la sua band. Questi fanno Musica, quella suonata, quella vera.
E’ passata oltre un’ora. Vasco è caldo. Gli arriva un reggiseno in faccia. Ci scherza su.
Migliaia di telefonini accesi, a registrare, formano quasi un cielo stellato, lì, sui palchi.
Ora capisco come fa a riempire gli stadi.
Cinquantotto. La pancetta bene in vista. Un po’ rauco. Ma ha una voce profonda. E canta.
Non me lo aspettavo. E’ in forma, il Vasco.
Ogni tanto spiega il perché di una canzone. Ogni tanto ricorda i suoi inizi.
E le persone che non ci sono più. La morte, nelle sue canzoni, non c’è: penso però che di amici deve averne visti andare via un bel po’.
Quasi quasi, qui, sotto il palco, conviene restarci fino alla fine.
Poi si spengono le luci. Il palco si svuota.
Dieci minuti di attesa. Qualche coro dagli spalti. Qualcuno urla il nome di Massimo Riva, l’ex chitarrista di Vasco: e lì parte un altro coro.
Poi lui esce. Da solo. Con la chitarra acustica.
Arriva in mezzo al parterre.
E’ commosso.
Ringrazia: gli abbiamo regalato il momento più bello del suo tour, ricordando Massimo.
Ed inizia a suonare. Snocciola qualche versione acustica dei suoi primi brani.
Viene fuori il cantautore che è.
E poi canta Sally. Quel suo capolavoro ineguagliato.
E a questo punto nel palasport siamo rimasti in tre. Io, lui e la sua chitarra acustica.
Vasco mi ha prelevato di peso e mi ha portato in un posto lontano, un bel posto.
Chi l’avrebbe mai detto.
Poi arriva Solieri, a dargli man forte: e le vecchie canzoni diventano più ricche, più rotonde.
E poi si aggiunge Stef con la chitarra elettrica. E poi tutti gli altri.
Sembrava che il concerto fosse finito. Invece è appena iniziato.
Lui saluta. Ma poi ci ripensa. E canta una nuova canzone.
Vasco è un animale da palcoscenico. E queste, di canzoni, io me le ricordo tutte. Mi sto divertendo.
E lo perdono, se in vita spericolata ha sostituito “fatti suoi” con “facebook“.
E saluta. E ci ripensa. E canta.
Ci avviamo verso l’uscita.
La bottiglietta di acqua senza tappo che ho conservato per mia moglie non ha perso una goccia.
Vasco saluta. Ma poi canta ancora.
I poliziotti sono tutti con il telefonino alzato: due gli fanno da coristi.
Lui manda a tutti un “in bocca al lupo“: la ragazza della Croce Rossa gli rimanda indietro un “crepi“.
Siamo quasi fuori.
Passo dalla bancarella dei gadget: mi sa che mi prendo un ricordo.
La commessa quasi dormiva: “dai Vasco, forza, saluta, che adiamo a dormire“.
Ma lui è lì che si muove tranquillo nel soggiorno di casa sua. Che fretta ha?
Non ci volevo venire.
Sono contento di esserci venuto.
(se volete vedere le foto della giornata, quelle ufficiali, le trovate qui)